C’è qualcosa di nuovo oggi, nell’aria…

Visto il clima piuttosto idilliaco scaturito dalla trasferta europea di Bush, in occasione della quale pare che la sinistra italiana abbia perduto i propri idoli degli ultimi due anni, Chirac e Schroeder, che hanno entrambi deciso di prendere atto che George W. sarà, volenti o nolenti, interlocutore dell’Europa per i prossimi quattro anni, ecco che la vulcanica mente del professor Prodi ha partorito un nuovo evento di drammatizzazione mediatica, una nuova “emergenza democratica”: l’informazione Rai. “C’è qualcosa di nuovo oggi nell’aria, anzi d’antico”…Prodi chiama a raccolta (o a conclave, secondo i suoi abituali metodi curiali di elaborazione propagandistica) tutti gli esponenti del centrosinistra nella Commissione parlamentare di vigilanza sulla Rai. Ascolta pensoso, scuote la testa, e alfin sentenzia: “La parzialità, e talvolta persino la faziosità, della nostra informazione televisiva, e purtroppo anche di quella affidata al servizio pubblico, sono sotto gli occhi di tutto il Paese. È un problema per l’Italia, è un problema per la nostra democrazia, è un problema per l’effettività stessa dei diritti fondamentali garantiti dalla nostra Costituzione”. La situazione del cda Rai è risaputa: dopo le polemiche (e ampiamente scontate e preavvisate) dimissioni di Lucia Annunziata, la “presidente di garanzia”, il consiglio della Rai risulterebbe al momento composto solo da sgherri prezzolati dalla Casa delle Libertà. Noi vorremmo sommessamente affermare che a nostro giudizio in questo momento nel consiglio Rai siedono persone designate dai presidenti dei due rami del parlamento, e che se è vero che i designatori sono entrambi espressione dell’attuale maggioranza, è altresì vero che facciamo fatica ad identificarli, soprattutto Casini, in ultrà berlusconiani. Il problema è che l’incultura liberaldemocratica, di cui entrambi gli schieramenti politici quotidianamente si nutrono, porta a scegliere il manuale Cencelli come unica, vera pratica democratica.

Secondo la sinistra, poi, pluralismo equivale ad avere in consiglio d’amministrazione Rai personaggi che debbono avere un rigoroso pedigree di appartenenza ideologica “senza se e senza ma”, ad esempio una presidente “di garanzia” che apparve, trionfante, sul palco ulivista la sera della vittoria alle politiche del 1996, e che occorra realizzare delle “isole di purezza ideologica” da preservare ed estendere, leggasi Tg3 e Rai News 24, la cui indecente unidirezionalità è ben emersa in occasione della diretta della manifestazione per chiedere la liberazione di Giuliana Sgrena, ma che straripa in ogni rubrica di approfondimento ed “analisi” (rigorosamente marxista), soprattutto di politica internazionale. Non esiste spazio, in questa Rai, per schemi realmente innovativi ed alternativi del modo di fare informazione. La sinistra continua ad usare come una clava i cosiddetti “approfondimenti”, quelli dove usualmente si svolgono processi mediatici senza contraddittorio, o con par condicio (quella vera e dialettica) gravemente menomata, vedasi tecnica delle interruzioni continue del buon Floris a Ballarò, a danno sistematico di esponenti della maggioranza.

Il punto vero è che la Rai attuale è ancora plasmata secondo la vecchia tripartizione Dc-Pci-Psi, e in tutti questi anni poco o nulla è stato fatto per introdurre una reale specializzazione tematica delle tre reti, e dove questa specializzazione è stata creata, come il sopracitato esempio di Rai News 24, si è assistito ad una vera e propria occupazione militare della struttura da parte dell’abituale fazione. Ovvio che i partiti, tutti i partiti senza distinzione alcuna, non vogliano privarsi degli abituali veicoli di propaganda, magari barattandoli a favore di qualche trasmissione o produzione di elevato spessore culturale ma, ahimé, di scarsa audience. Per Beppe Giulietti, il pasdaran della democrazia mediatica ed animatore di quel grumo di faziosità a senso unico noto come Associazione Articolo 21, pluralismo vuol dire che a faziosità deve corrispondere altrettanta faziosità, e che il concetto di “servizio pubblico” equivalga ai programmi di Santoro, altrimenti la democrazia è in pericolo. Nessuna meraviglia che Prodi, che resta in fondo un democristianone manovriero, abbia colto la palla al balzo per ricompattare la sua coalizione come un solo uomo. Noi restiamo della nostra opinione: Berlusconi controlla i contenitori, la sinistra i contenuti. Chi vince?

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