I risultati dell’autopsia, pubblicati mercoledì, dovrebbero suscitare un lieve imbarazzo in tutti gli agitatori ed i politici che hanno starnazzato nel doloroso caso di Terri Schiavo e del suo diritto a morire. Non è stata trovata prova delle nequizie che sono state attribuite al marito di Terri, ed è stato accertato che il suo cervello non aveva alcuna speranza di recupero. Le innumerevoli corti chiamate a pronunciarsi avevano quindi ragione a concludere che alla donna dovesse essere consentito morire dopo 15 anni di un persistente stato vegetativo senza speranza di ripresa. L’autopsia e le ampie investigazioni compiute dai medici legali della Florida lasciano inevitabilmente aperte alcune questioni. Ma l’esito dell’indagine lascia pochi dubbi in merito al fatto che la morte di Terri sia stata il pietoso esito di questo tragico caso.
I medici legali hanno trovato il cervello della Schiavo “profondamente atrofizzato”, e ridotto a circa la metà della normale dimensione. Inoltre, era completamente cieca e non avrebbe potuto in nessun caso mangiare o bere da sola. Conclusioni che sottolineano quanto superficiali e cinici siano stati i giudizi “da lontano” di molti esagitati ed ideologicamente distorti tuttologi. Primo tra tutti, negli Stati Uniti, quel Bill Frist, che pure è medico, nonché leader della maggioranza repubblicana al Congresso, impegnato a sostenere che Terri Schiavo appariva reattiva e che le sue condizioni sarebbero state idonee alla prosecuzione dei trattamenti (ma quali?), e che ora sostiene di non aver mai formulato alcuna diagnosi, men che meno in contrasto con l’opinione dei medici che avevano in cura Terri.
O come Tom DeLay, capo della maggioranza repubblicana alla Camera dei Rappresentanti, che medico non è, e che si è spinto anche oltre, affermando: “Terri Schiavo non è cerebralmente morta: lei parla e ride, esprime felicità e disagio. Terri Schiavo non è tenuta in vita artificialmente“. Anche noi, qui, nel Belpaese provincialotto dove quotidianamente negli alambicchi della politica parolaia e onanista vengono messe a sobbollire nuove suggestive teorie, destinate a subire in breve tempo l’eutanasia della logica e dell’evidenza dei fatti, abbiamo avuto il nostro Bill Frist, impersonato dal buon Giulianone, che con il caso Schiavo ha fatto le prove generali della sua audace costruzione di una moral majority retta da robusti dogmi teologici, destinata poi a culminare nel trionfo del disinteresse “moderatismo” nel referendum sulla procreazione assistita. Ferrara è riuscito a scrivere e parlare di una società aberrata, ove contano solo le persone attive e produttive, mentre quelle come Terri Schiavo sono destinate ad essere soppresse senza pietà dalla nuova Buchenwald economicista del nostro mondo occidentale, senza più anima né valori.
Tornando al caso Schiavo, l’autopsia ha confutato tutte le teorie paranoidi su Michael Schiavo, sottoposto a pubblico linciaggio ed accusato, senza perifrasi, di aver attivamente contribuito alla condizione vegetativa della moglie, sia al momento del malore poi rivelatosi fatale, sia durante gli anni di una degenza senza speranza durata 15 anni. Nessuna traccia di droghe, farmaci impropriamente utilizzati, strangolamenti, o di qualsivoglia altra pratica messa in atto per accelerare la morte di Terri. L’autopsia non ha individuato le cause del malore del 1990, quello che l’avrebbe condotta alla morte. Il legale dei genitori di Terri ha subito affermato, dopo la pubblicazione degli esiti dell’autopsia, che la donna non si trovava in imminente pericolo di vita quando il tubo dell’alimentazione è stato staccato. Ciò è vero nella misura in cui la sua vita avrebbe potuto proseguire solo con l’ausilio del tubo di alimentazione. Ma secondo la testimonianza del marito di Terri, che tutte le corti coinvolte hanno reputato credibile, questo tipo di “vita” non era ciò che lei avrebbe voluto.
Possiamo contare su una qualche “nota a margine” del caso Schiavo sui media, per tentare di meglio precisare i contorni di una tragedia, personale e familiare? Negli Stati Uniti ve ne sono già state molte ed autorevoli. Qui da noi, non abbiamo ancora letto nulla in tal senso, né probabilmente lo leggeremo mai. Non troveremo traccia dell’equivalente delle invettive fallaciane contro i mostri che sopprimono vite umane “inidonee” ed improduttive quanto e meglio del dottor Mengele, né avremo modo di leggere l’antitesi ai fiammeggianti editoriali in cui l’Elefantino di turno celebra “il gusto sottile del pensiero forte tipico del Medioevo e della sua alta cultura, e della sua tensione tra Atene e Gerusalemme“. Eppure tutti abbiamo diritto ai nostri convincimenti morali e filosofici, ma nessuno di noi ha il diritto a costruirsi un’oggettività assai soggettiva. Lo sgradevole e straniante suono minimalista della fattualità ha zittito i corifei wagneriani delle emozioni e delle sensazioni forti, fossero essi in buona fede o nel suo interessato opposto. Riposa in pace, Terri.