Euro e liberismo

Sul New Perspectives Quarterly una interessante intervista a Milton Friedman su benefici e rischi dell’euro.
Il premio Nobel per l’economia ha le idee molto chiare sul nocciolo duro della Vecchia Europa:

NPQ | The so-called “old Europe” of France, Germany and Italy has been stagnating with high levels of unemployment. Germany—one of the last bastions of the Cold War Keynesian welfare state—now has a conservative leader, Angela Merkel.What should be done to get Germany, and by extension old Europe, back on track?

Friedman | They all ought to imitate Margaret Thatcher and Ronald Reagan; free markets in short.

Friedman attribuisce il merito dell’apparente sconfitta dell’inflazione all’azione delle banche centrali, segnatamente della Fed.

NPQ | The inflation rate in America as well as globally remains historically low, even as oil prices skyrocket. Why?

Friedman | Inflation is a monetary phenomenon. It is made by or stopped by the central bank. There has been no similar period in history like the last 15 years in which you’ve had little fluctuation in the price level. No matter what else happens, this will maintain as long as the US Federal Reserve maintains strict monetary policy and control of the money supply.

Il padre del monetarismo ha tuttavia qualche timore circa la capacità di sopravvivenza di un’unione monetaria che non ha precedenti nella storia, perché creata da stati indipendenti e basata non sul gold standard ma sulla moneta fiduciaria:

The same thing is true in Europe. The ECB (European Central Bank) has held down the rate of monetary growth. So there have been stable prices. The pressures in Europe, however, will be much stronger than in the US. The main pressure is to print money and be more expansive in order to promote employment.

Il Nobel riserva qualche considerazione anche all’Italia. Che dall’ingresso nell’euro è stata beneficiata con la riduzione dei tassi d’interesse derivante dall’appartenenza ad un’area valutaria forte, ma è stata penalizzata dalla perdita della leva strategica delle svalutazioni competitive, e dell’inflazione da esse indotta nel passato, che permetteva di ridurre il valore reale dello stock di debito. Ma la vulnerabilità italiana risiede nel fatto che, in regime di tassi fissi, l’unico modo per rispondere a shock esterni è quello di mantenere ed aumentare la flessibilità dei fattori produttivi. Tradotto in soldoni: un paese che ha una insufficiente crescita della produttività e che opera in settori a basso valore aggiunto, potrà recuperare competitività solo attraverso il ricorso a maggiore flessibilità. Ciò equivale, essenzialmente, a subire una riduzione dei salari che conduce alla riduzione dei prezzi, migliorando la competitività. Come via di fuga alternativa, il paese potrebbe scegliere di tornare ad operare in regime di cambi flessibili, o meglio nell’ambito di un rapporto di cambio che rifletta la minor crescita della sua produttività. Poiché quella dell’euro non è un’area valutaria né ottimale né omogenea, non resterebbe (in astratto) che l’uscita dalla moneta unica:

The problem is that, in a world of floating exchange rates, as Italy’s was before the euro, if one country is subjected to a shock which requires it to cut wages, it cannot do so with a modern kind of control and regulation system. It is much easier to do it by letting the exchange rate change. Only one price has to change, instead of many. But now, in the euro, that option is taken away. The only alternative if a state has to adjust to a shock is to let internal prices vary. It has to let wages go down, if necessary. It has to let internal interest rates go up, if necessary.

In alternativa, l’Italia potrebbe ricercare un asse preferenziale con altri paesi in condizioni di analoga debolezza, che finisca col disarmare la Bce, e costringerla “per statuto” a stampare cartamoneta. Alleanza tattica che, in parte, si è verificata due anni fa con la ridefinizione (cioè il rilassamento) del vincolo di Maastricht sul rapporto deficit/pil, sponsorizzata da Roma, Parigi e Berlino. Ma oggi pare che uno dei membri di quel club assai poco esclusivo, la Germania, stia recuperando competitività:

At the moment, of course, Germany cannot get out of the euro. What it has to do, therefore, is make the economy more flexible—to eliminate the restrictions on prices, on wages and on employment; in short, the regulations that keep 10 percent of the German workforce unemployed. This is far more urgent than it would otherwise be if Germany were not in the euro.This set of policies would open up the German potential. After all, Germany has a very able and productive workforce. It has high-quality products that are valued all over the world. It has every opportunity to be a productive, growing state. It just has to give its entrepreneurs a chance. It has to let them make money, hire and fire, and act like entrepreneurs.

La priorità strategica italiana, quindi, deve consistere nel recupero di competitività. Che potrebbe avvenire o attraverso la riconversione produttiva verso settori ad elevato valore aggiunto, cosa che abitualmente non accade nell’arco di un plenilunio, oppure attraverso la riduzione del costo del lavoro: i famosi “cinque punti percentuali” in meno, peraltro neppure esplicitati nel programma dell’Unione. Ma come finanziare questo taglio del costo del lavoro? Un aumento dell’imposizione fiscale, come sognano i “vendicatori sociali” della sinistra, non potrà essere posto a carico del sistema delle imprese, peraltro già pesantemente zavorrate dall’invenzione tutta prodiana dell’Irap. Né sarebbe sufficiente il feticcio dell’inasprimento della tassazione sulle famigerate “rendite” finanziarie, destinato a risolversi in un gettito risibile e/o nel non trascurabile effetto collaterale dell’aumento dei rendimenti lordi sui titoli di stato, a seconda che siano incisi soggetti italiani o non residenti. Un’azione alternativa dovrebbe invece prevedere una “tempesta perfetta” di liberalizzazioni e tagli di spesa pubblica, che produrrebbero l’effetto di ridurre le rendite parassitarie dell’economia e gli oneri impropri che la burocrazia impone al sistema produttivo. Tali misure provocherebbero una riduzione generalizzata di prezzi e tariffe, che stimolerebbe la domanda interna e contribuirebbe al miglioramento delle ragioni di scambio italiane.

Ecco perché la via prodiana al rilancio del paese, fatta di moralismo e revanscismo fiscale, è destinata al fallimento. Ecco perché una Casa delle Libertà realmente tale non dovrebbe avere alcun dubbio circa la via da imboccare. Berlusconi lasci perdere Napoleone, e si studi la vita e le opere di Maggie Thatcher.

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