Giornata trionfale per il premier Romano Prodi. Prima il downgrade dell’Italia da parte dell’agenzia di rating Fitch, pochi minuti dopo quello (ben più grave, per il modo in cui è motivata la decisione) da parte di Standard and Poors. Andiamo con ordine.
S&P taglia il rating italiano ad A+ da AA-, il secondo peggiore tra le nazioni dell’Area Euro dopo quello della Grecia. L’Italia è diventato l’unico paese dell’euro a soffrire due tagli consecutivi al rating dal lancio della moneta unica, nel 1999. Fitch ha “risolto” il proprio outlook negativo sull’Italia, che datava da alcuni mesi (prassi abituale da parte delle agenzie di rating), e ha portato il rating italiano a AA-, da AA. Il downgrade ha provocato un aumento del premio al “rischio Italia”, cioè del rendimento aggiuntivo che gli investitori richiedono per acquistare titoli del Tesoro italiano. Ciò equivale ad un probabile aumento dell’onerosità del debito pubblico italiano, cioè ad un incremento della spesa per interessi.
Interessanti le motivazioni addotte dalle due agenzie di rating: Fitch appare decisamente più critica nei confronti del precedente governo, e motiva il downgrade in base al deterioramento della finanza pubblica negli ultimi cinque anni, che ha condotto al primo incremento da un decennio nel rapporto tra debito pubblico e prodotto interno lordo, come effetto congiunto del restringimento dell’avanzo primario e di maggiore spesa pubblica. Secondo Fitch, un miglioramento delle prospettive è possibile, grazie alla favorevole evoluzione del quadro macroeconomico, alle riforme fiscali e in un contesto di tassi d’interesse ancora storicamente bassi. Un’analisi piuttosto esile, poiché omette di segnalare che proprio il rallentamento congiunturale globale (che l’Italia ha vissuto in modo amplificato a causa dell’adozione di un cambio irrevocabilmente fisso su un tessuto produttivo tradizionale e a basso valore aggiunto) è alla radice dell’evaporazione di un avanzo primario ottenuto nella legislatura 1996-2001 solo grazie a blocchi del tiraggio di Tesoreria, espediente prodian-ciampiano per ottenere quozienti di deficit-pil in linea con i requisiti di Maastricht, ma senza adottare alcuna riforma strutturale dei meccanismi di spesa pubblica.
Molto diverso il giudizio di S&P, il vero market mover di oggi, la cui azione è ben più severa, avendo portato il rating italiano non solo sotto quello delle altre due agenzie (Moody’s non ha effettuato nessuna variazione), e ha di fatto espresso un giudizio negativo sull’operato dell’attuale governo italiano.
Per S&P, il downgrade è frutto della “risposta inadeguata da parte del nuovo governo alle sfide strutturali dell’economia e del bilancio italiani”. Il progetto di bilancio presentato al Parlamento da Romano Prodi, si osserva, “fa poco per portare avanti le necessarie riforme ed aumenterà invece che ridurre la spesa, che è la causa primaria dell’instabilità finanziaria”.
S&P critica anche il fatto che la prevista riduzione del deficit pubblico italiano sarà il risultato di inasprimenti fiscali piuttosto che di riforme strutturali volte a ridurre la spesa.
Secondo Prodi, i downgrade di oggi sarebbero un non-evento. E’ vero solo a metà: quello di Fitch appare effettivamente un non-evento, quello di S&P è molto più minaccioso, soprattutto in prospettiva. Un eventuale, ulteriore declassamento del merito di credito italiano nei prossimi mesi, unito alla percezione da parte dei mercati (che oggi non c’è ancora, al di là lievi scostamenti dei differenziali d’interesse) che il paese non è in grado di ristrutturare il proprio modello di sviluppo economico e governare le dinamiche della propria spesa pubblica, rischierebbe di portare al precipitare della situazione, senza scomodare scenari argentini, ai quali non crediamo (ancora).
Ciò che conta è che il governo prenda consapevolezza che la manovra deve vertere su tagli strutturali di spesa e non su inasprimenti generalizzati di imposte. Ma questo non accadrà, statene certi.
Sarà politicamente molto facile per il governo e la maggioranza (o ampia parte di essa), nelle prossime ore e giorni, sposare le argomentazioni di Fitch. Ma, come non ripeteremo mai abbastanza, non c’è nulla di più vendicativo dell’economia. Per parte nostra, siamo sempre così illusi da sperare in un’improvvisa resipiscenza di qualche bello guaglione (ad esempio), tale da condurre alla riscrittura della manovra su basi meno beceramente demagogiche.
P.S. Si attendono le elaborazioni culturali dei piccoli giapponesi di Rifondazione e degli economisti in erba che continuano a difendere su basi antropologicamente e moralmente superiori l’impianto ideologico di questa manovra. La Playstation ora funziona perfettamente, approfittatene.