De senectute

Nella serata di ieri il Senato ha votato la fiducia alla legge Finanziaria con 162 voti a favore e 157 contro. Hanno votato a favore della fiducia i cinque senatori a vita presenti in aula: Carlo Azeglio Ciampi, Francesco Cossiga, Emilio Colombo, Rita Levi Montalcini e Oscar Luigi Scalfaro, senza il voto dei quali si sarebbe avuto un pareggio 157 a 157 e la fiducia non sarebbe passata. Possiamo ipotizzare che il voto favorevole dei cinque sia frutto di senso di responsabilità, per evitare l’esercizio provvisorio e risparmiare al paese forti turbolenze interne ed internazionali, provenienti soprattutto dalle agenzie di rating, che da tempo seguono l’involuzione dei conti pubblici italiani. Ma, malgrado queste considerazioni, non possiamo esimerci dal ritenere che approvare una legge di importanza fondamentale per la vita del paese con l’apporto determinante di soggetti non eletti dai cittadini rappresenti, se non un vulnus, almeno una diminutio dei principi di rappresentanza democratica, indipendentemente da chi possa avvantaggiarsi da questa circostanza.

Durante il suo mandato presidenziale, Carlo Azeglio Ciampi ha operato in modo corretto e rispettoso di tali principi di rappresentanza, decidendo di interpretare in modo restrittivo l’articolo 59 della Costituzione, che recita:

È senatore di diritto e a vita, salvo rinunzia, chi è stato Presidente della Repubblica. Il Presidente della Repubblica può nominare senatori a vita cinque cittadini che hanno illustrato la Patria per altissimi meriti nel campo sociale, scientifico, artistico e letterario.

Un’interpretazione estensiva di questo articolo avrebbe rischiato di portare alla nomina di cinque senatori a vita, motu proprio (escludendo quindi gli ex presidenti della Repubblica, che lo sono di diritto), da parte di ogni capo dello stato, inquinando il principio di elezione diretta da parte dei cittadini. Oggi, questo correttivo di buon senso non è più sufficiente. Personalmente, proposte quali quella di Forza Italia, che suggerisce una legge costituzionale che emendi l’articolo 59 della Costituzione per impedire il voto ai senatori a vita non ci convincono. I senatori a vita sono presenti nell’Assemblea per contribuire e concorrere alla formazione delle leggi. Sterilizzare a titolo definitivo questa loro prerogativa equivarrebbe a cancellare l’articolo 59 nella sua interezza, strada peraltro percorribile. Meglio sarebbe, a nostro avviso, ove si volesse mantenere in essere l’istituto del laticlavio vitalizio, attenuarne le prerogative, prevedendo ad esempio che il voto espresso dai senatori a vita non possa essere determinante in ipotesi di equivalenza numerica tra maggioranza ed opposizione. Un depotenziamento delle prerogative dei senatori a vita rispetto a quelli eletti, tale da riflettere la circostanza che i primi non sono stati scelti dai cittadini. Ma anche in questa circostanza, l’individuazione delle fattispecie in cui si debba sterilizzare il voto resta largamente indeterminata ed indeterminabile. Quella dei senatori a vita resta quindi un’aporia di difficile risoluzione. Forse l’unica soluzione, considerato che queste figure appaiono il retaggio di istituti monarchici, consiste nell’eliminare la figura dei senatori a vita, e trovare vie alternative per magnificare i connazionali che hanno illustrato la patria per i loro altissimi meriti.

Anche per questo motivo, e più in generale, appare quindi urgente una riforma costituzionale che superi anche l’improduttiva ridondanza del nostro bicameralismo perfetto. All’attuale maggioranza sarebbe forse troppo chiedere di non sciacquarsi la bocca con concetti alti e nobili quali “la volontà degli elettori”, né parlare di improbabili “svolte” salvifiche, in presenza di dinamiche di voto di questo tipo. Ma si sa, non possiamo ambire a cotanta prova di decenza. Ma il peggio per Prodi deve ancora venire.

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