Dopo lo psicodramma collettivo dei giorni scorsi, tutto interno alla sinistra, con il lettore progressista romano che scrive un’accorata lettera a Repubblica, autodenunciandosi per “star divenendo razzista”, in reazione alla illegalità diffusa di cui sono protagonisti, nella Capitale come nelle altre città italiane, soprattutto extracomunitari; dopo la reazione ampiamente stereotipata del sindaco Veltroni, per il quale la legalità non è di destra né di sinistra; dopo il coming out da legge&ordine del sindaco di Torino, Chiamparino, che si dichiara antiproibizionista pentito, con un revisionismo divenuto di drammatica attualità alla luce di notizie come questa, ecco altri interessanti dati sulla sicurezza in Italia.
Ieri sono stati resi noti i risultati di un’indagine del Dipartimento della pubblica sicurezza del Viminale trasmessa alla Commissione Affari Costituzionali della Camera, secondo la quale i poliziotti italiani stanno invecchiando. L’età media di quelli impegnati in ruoli operativi è passata dai 28 anni del 1996 ai 35 anni del 2005. E questo comporta non pochi problemi per il turnover.
“Ulteriore inevitabile conseguenza del mancato ripianamento degli organici – si legge nella relazione – e dell’impossibilità di coprire integralmente il ‘turnover’ è il preoccupante progressivo aumento dell’età media del personale”.
In più, per effetto dell’abolizione della leva obbligatoria, spiega il Dipartimento del Viminale, anche le forze di polizia sono costrette ad attingere nuove leve tra i volontari delle forze armate. Con un duplice ordine di problemi: personale già addestrato per compiti di forza armata deve essere riconvertito per quelli di polizia; si crea uno sbarramento all’entrata di nuove forze provenienti dalla società civile. Nello stesso rapporto si legge anche che risultano impegnati in ruoli operativi poco più di 214mila unità, tra poliziotti e carabinieri, su complessive 220mila unità.
Ma non è tutto. Nel rapporto si dice anche che una buona parte dei Carabinieri è impegnata in compiti prettamente militari all’estero e in Italia. Mentre molti agenti di polizia e CC sono utilizzati per funzioni ispettive. Così, alla fine, i carabinieri realmente operativi sono 110.150, mentre gli agenti di polizia 101.045. Per un totale di 7.399 presidi (6140 dell’Arma e 1.851 di PS). Insomma, per servizi investigativi e di reale controllo del territorio c’è una disponibilità del 91% della forza organica. E ogni giorno si registra un’assenza media di almeno il 30% del personale. A ciò si aggiungano i pesanti tagli al Dipartimento di pubblica sicurezza, varati con la Finanziaria 2007 dal governo che negli scorsi anni dipingeva il paese come la Chicago degli anni Venti, in preda a illegalità diffusa e crimine dilagante e si impegnava, come da programma, a ripristinare condizioni di sicurezza. Sempre nella relazione si legge che un terzo dei denunciati nel 2006 è rappresentato da extracomunitari e che (sorpresa, sorpresa) dopo l’indulto il numero dei reati è aumentato considerevolmente. Naturalmente, e per rispondere al lettore progressista di Repubblica, non bisogna essere razzisti. Ed ecco quindi il Viminale lanciarsi, a partire da un dato statistico oggettivo, in una singolare concione moralistica:
“Il collegamento straniero-autore di fatti criminosi rappresenta uno stereotipo ancora piuttosto diffuso nel nostro Paese, cui spesso contribuiscono i mass media con il loro specifico modo di proporre le notizie; così, se 10 anni fa a preoccupare erano soprattutto i tossicodipendenti, ora sono soprattutto gli immigrati e in special modo i clandestini”.
Quindi, i dati parlano chiaro, ma occorre essere politicamente corretti, e quindi vanno spazzati sotto il tappeto. Sapevate che la statistica è uno stereotipo? Anche il 12 per cento di beneficiari dell’indulto rientrati in carcere non rappresenta esattamente una sorpresa: vi erano, anche in questo caso, delle evidenti regolarità statistiche con gli indulti precedenti, con l’unica eccezione della accresciuta incidenza, nell’ambito della popolazione carceraria, di soggetti extracomunitari. Considerati i rientri in carcere, che tipicamente si cumulano entro i primi diciotto mesi dal provvedimento di clemenza, la popolazione carceraria italiana si è pericolosamente riavvicinata al limite massimo di capienza delle strutture disponibili, e verosimilmente tra un anno o anche meno torneremo a parlare di sovraffollamento e di “gesti di clemenza”. Nel frattempo, come da noi previsto, nessuno ha calendarizzato, dopo l’indulto, una sessione parlamentare straordinaria per affrontare il tema dell’edilizia carceraria, dell’adozione di efficaci misure alternative di pena (tali cioè da non risolversi nella sostanziale impunità dei condannati). Nulla di nulla.
Solo buoni sentimenti, ottenuti strumentalizzando le posizioni della Chiesa (comme d’habitude), e sovrano menefreghismo per le vittime e le loro famiglie. Ora attendiamo di riascoltare l’ineffabile Mastella (impegnato a rassicurare “tatticamente” le autorità brasiliane che in Italia l’ergastolo esiste, ma solo formalmente, e siamo d’accordo con lui, visti i dati) e i soliti radicali a difesa dell’indulto, con le abituali argomentazioni. In Italia vi sono troppi clandestini? Bene, basta dichiararli non più tali con un tratto di penna, come suggerisce l’impianto del disegno di legge Amato-Ferrero. Vi sono troppi detenuti? Basta deflazionare periodicamente le carceri con l’indulto.
Un paese dove non vi è alcuna certezza della pena è un paese ormai caduto nella barbarie. Per dire questo non serve essere forcaioli, basta non essere ipocriti.