Tax and spend in viale Mazzini

Tra tutte le varie notizie quotidianamente prodotte dallo zoo Italia, siamo stati colpiti da questa. Soprattutto, ci colpisce la chiave di lettura che il direttore generale della Rai, Cappon, dà del rosso di 87,4 milioni di euro del bilancio consolidato Rai (di cui 78,6 milioni di perdite prodotte dalla capogruppo). Per Cappon, infatti, la colpa di questo rosso è imputabile, in misura decisiva, indovinate?, all’evasione del canone. Ecco lo schema mentale caratteristico dell’emisfero cerebrale centrosinistro. E’ sempre e solo un problema di entrate, mai di spese. Se il recupero dell’evasione del canone, sospira Cappon, venisse portato alla leggendaria “media europea” (quella dove per i politici italiani ed i loro famigli stat virtus, ma solo quando è a loro vantaggio), sarebbe possibile recuperare addirittura 150-200 milioni di euro. “Se avessi le ruote, sarei un tranvai“, si dice a Milano, mentre a Roma si utilizza un’assai più pittoresca espressione, relativa al biliardo. Cosa vi ricorda questo strutturato pensierino di Cappon? Forse il Prodi che dice “se recupero anche solo un terzo dell’evasione fiscale, siamo a cavallo”. In viale Mazzini, dove il cavallo è effettivamente disponibile, si preferisce concentrarsi sulle entrate, non sulle spese.

Ad esempio, è straniante la lamentela di una raccolta pubblicitaria cresciuta, nel 2006, di solo l’1,1 per cento. Certo se questa constatazione, anziché dal sedicente “servizio pubblico” radiotelevisivo venisse da Fedele Confalonieri, sarebbe ben più condivisibile, che dite? Interessante è poi la stagionalità (o meglio, l’annualità) invocata da Cappon: “E’ un anno dispari, avremo risultati migliori del 2006. Si conferma la regola degli anni pari più critici. Per il 2007 è prevista una perdita, allineata al budget originario, attorno a 40 milioni di euro“. Mentre attendiamo fiduciosi il prossimo anno bisestile o i prossimi dolori articolari di Petruccioli per vedere un’inversione di tendenza dei conti Rai, cogliamo la ammissione di cattiva gestione fatta da Cappon, a nome anche del precedente vertice Rai. Scopriamo, cioè, l’acquisto dei diritti di grandi eventi sportivi è un formidabile generatore di perdite per la Rai. L’anno scorso i Mondiali di calcio e le Olimpiadi invernali sono costate 100 milioni di euro al netto della pubblicità incrementale. Il che, tradotto dal capponese, significa che la Rai ha sbagliato a prezzare l’acquisto dei diritti, strapagandoli rispetto alle loro effettive potenzialità reddituali. Allo stesso modo, la Rai ha già acquisito (a caro prezzo, ça va sans dire) i diritti per l’Europeo 2008 di calcio, e non risulta li abbia ancora parzilmente rivenduti, come si fa in questi casi per ridurre l’onere.

Considerate, per fare un esempio, che la televisione pubblica svizzera, in più di un’occasione, ha rinunciato all’acquisto dei diritti di grandi manifestazioni sportive, quali le Olimpiadi ed i Mondiali di calcio, ritenendo tale acquisto incompatibile con l’equilibrio dei conti del servizio pubblico. In Italia, dove si vive di panem et circenses, ciò sarebbe stato semplicemente inimmaginabile: avremmo sentito Usigrai, Articolo 21 e sinistra assortita gridare al complotto piduista, che è sempre così trendy, signora mia. Sempre riguardo le spese, si troverà mai qualcuno disposto ad alzare il ditino e a chiedere alla Rai (ed al potere politico) per quale motivo undicimila dipendenti sono così costituzionalmente inidonei ad autoprodurre anche solo uno straccio di trasmissione di approfondimento giornalistico, costringendo la Rai a ricorrere all’outsourcing endemoliano, così politicamente sensibile? No, si direbbe.

Meglio baloccarsi con la versione catodica del tax and spend, e invocare il recupero dell’evasione. Che va certamente fatto ma che altrettanto certamente, vista la tendenza, produrrebbe solo espansione di spesa. Solo la fine del centauro Rai e del suo abuso di posizione dominante sul mercato delle risorse di sistema (canone più pubblicità, e non solo la seconda) servirà a riequilibrare il sistema dell’emittenza televisiva in Italia.

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