La discarica della democrazia

Saviano: ecco i colpevoli“, strilla il titolo su Repubblica, ad introdurre l’editoriale dell’autore di Gomorra, ultimo discendente di una folta progenie di intellettuali dal dito puntato contro la criminalità organizzata ed il malaffare degli eletti, che della prima è da sempre il catalizzatore ed il sottoprodotto ancillare. Saviano vive una vita blindata a causa della sua denuncia, ed anche questo è un disarmante déjà-vu in un paese dove lo stato non riesce ad affermare il monopolio dell’uso legittimo della forza finendo per subappaltarlo, per mano di propri rappresentanti eletti, alla criminalità organizzata. Eppure, leggendo e rileggendo questo pezzo di sdegno, ripulsa e impegno civile quasi manieristico, non si riesce a non essere colti da una crescente sensazione di straniamento. L’articolo ha un periodare sincopato, si fatica a seguirne il filo logico, ci sono persino numerosi refusi. Ci sono citazioni tratte da The Lancet Oncology ma senza altri riferimenti che permettano di meglio comprendere il contesto da cui sono tratti i dati, ci sono percentuali di incremento di patologie tumorali che non è chiaro (né esplicitato) a quale base di calcolo si riferiscano. Ma oltre ad esserci qualcosa, manca anche altro, molto altro.

Dall’inizio della lettura scorriamo, dapprima lentamente poi sempre più velocemente increduli, il testo. Non c’è riferimento alcuno ai due massimi esponenti della politica nelle amministrazioni campane. Non ad Antonio Bassolino, non a Rosa Russo Iervolino. Forse Saviano, che resta un intellettuale, e quindi ama issarsi dalla miseria del contingente, avrà preferito dare all’articolo un taglio più sociologico. Eppure non è così, perché in poche righe lo scrittore riesce a citare i magistrati titolari delle principali inchieste sull’intreccio tra camorra e politica, e addirittura il nome di un imprenditore che poté godere dell’incubatoio del private equity camorrista e volle farsi politico, non eletto, nelle fila di Forza Italia. Tutto molto interessante, questo travaglio del giovane Saviano. Travaglio anche in senso giornalistico, con un accostarsi alla cronaca giudiziaria che è però assai meno meticoloso e strutturato di quello del giornalista che crebbe professionalmente con Indro Montanelli, e che finì per specializzarsi in veline delle procure. Saviano è troppo artisticamente letterato per ibridare il suo stile con aride cronache dai palazzi di giustizia e con l’ossimoro della nuova figura retorica italiana dei verbali pubblicamente secretati.

Saviano ama puntare il dito contro le imprese, soprattutto quelle del Nord-Est, che egli vede come la metafora del capitalismo predatorio. Di tutto il capitalismo, che per lui è consustanziale rapina. Il Sud come eterna vittima della concupiscenza da homo homini lupus del capitale, quasi una riedizione dell’economia-mondo, del Braudel dei cerchi concentrici: l’economia è un gioco a somma zero, se tu guadagni è perché io perdo, tertium non datur. Ma tornando alla politica ed all’amministrazione, Saviano mai si domanda se e quali responsabilità possano essere in capo all’uomo che da un ventennio guida la Campania, prima come sindaco di Napoli e poi come governatore, che per quattro anni è stato anche commissario straordinario alla ossimorica “emergenza cronica” della spazzatura. Né nulla dice dell’attuale sindaco di Napoli, una dolce anziana signora che si adira contro la stampa internazionale la cui malevola cronaca danneggia la pro-loco della sua città. Nessuna responsabilità di questi due notabili, almeno sul piano politico? Sono davvero profeti disarmati? Ma se le cose stanno in questi termini, forse occorre ripensare l’intera filosofia del decentramento amministrativo, che avrebbe clamorosamente fallito. Altro che Titolo V della Costituzione!

E che pensa Saviano della microcriminalità diffusa? Continuerà ad interpretarla sociologicamente come mancanza di occasioni di un lavoro legale? Se sì, si è mai posto (lui e mille altri con lui) la domanda del perché ad un lavoro onesto pagato 800-1000 euro al mese molti sembrano preferire le migliaia di euro ottenibili dal malaffare? Saviano (e mille altri con lui) crede davvero che l’elettorato non si meriti simili incapaci? Se sì, saprebbe spiegare perché Bassolino e Jervolino sono stati rieletti con percentuali che farebbero impallidire Putin? Di quali meriti amministrativi hanno incassato i frutti? E’ un mistero, per nulla gioioso, che lascia basiti cittadini che continuano a credere nello stato e nelle sue funzioni primarie, tra le quali non figura né deve figurare l’intermediazione del denaro dei contribuenti.

Proviamo a leggere il caso-Campania con altre lenti. Diciamo che l’assistenzialismo di stato ha fallito, che il federalismo posticcio degli ultimi lustri ha generato mostri. Rifletta, il capo dello stato a passeggio per Capri, mentre rumina il suo allarme e la sua fiducia. Commissariamo tutte le unità amministrative della Campania, dalla regione ai consigli di condominio. Ricorriamo all’esercito nelle strade, senza timore di infliggere alcun vulnus ad una “democrazia” che mai è esistita, a quelle latitudini. Sospendiamo il Truman Show democratico che dura da decenni, e costruiamo il tessuto legale, amministrativo ed infrastrutturale di quei territori. Coltiviamo l’imprenditorialità ed il rispetto delle regole. Dimostriamo che da un’economia di mercato genuina, dove i diritti di proprietà sono autenticamente tutelati, nasce l’essenza della democrazia, quella vera. Togliamo argomenti a chi, come Saviano, è (più o meno in buona fede) convinto che questo degrado civile nasca e venga mantenuto da esigenze funzionali al mercato, entità di cui egli ignora l’essenza. Abbiamo bisogno di più stato, ma non per redistribuire la povertà bensì per dare certezza e tutela a chi vuole uscire dalla barbarie di un medioevo fatto di corvées a favore di malavitosi e miserabili parassiti della politica. E abbiamo soprattutto bisogno di smettere con indulgenza ed autoindulgenza verso il modello culturale dominante di quella città e quella regione, fatto di piccole e grandi devianze che minano dalle fondamenta la convivenza civile e lo sviluppo umano. E’ tempo di liberarsi di quella parte di “napoletanità” che fa rima con illegalità.

Falliremo? Forse. Ma lo status quo è la certificazione di un altro fallimento storico, quello dell’intervento pubblico nell’economia, che ha trasformato i valori civili in diossina.

UPDATE: su Saviano e la “classe dirigente” meridionale, da leggere Michele Boldrin. Fino all’ultima parola.

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