Dall’8 al 10 febbraio prossimi, a Milano, si terrà la Conferenza nazionale di An. Nei giorni scorsi sono stati resi pubblici (anticipati e commentati da Mario Sechi su Panorama.it) i principali orientamenti programmatici che il partito di Gianfranco Fini sottoporrà al proprio elettorato, attuale e potenziale, ed agli interlocutori politici. Scorrendo i singoli punti è difficile non essere colti da sconforto.
Il problema italiano, secondo An, risiede soprattutto nella crisi identitaria, nelle sue radici culturali e morali. La politica deve essere guidata da una cultura di riferimento. Ma quale dovrebbe essere, per il partito di Fini? Presto detto: “La riaffermazione del Modello Italiano che deriva dalla nostra storia, dalla nostra cultura e dalla nostra identità”. Precetto un tantino fumoso e vagamente prono a circolarità tautologica. Quanti modelli culturali esistono in Italia? A quale storia si richiamano? Quale appare dominante? A quale si richiama An? Non è dato sapere. Quello che appare immediato è la critica della globalizzazione, vecchio spaventapasseri buono per tutte le stagioni, sul quale si innesta il concetto-chiave di “interesse nazionale”. Concetto maledettamente serio, sfortunatamente anch’esso ben lungi dall’essere articolato e specificato. Date le premesse, si giunge piuttosto rapidamente alla riedizione di vecchie tesi neocospirazioniste sul “nemico” che vuole comprarci. Ma noi resistiamo! E lottiamo contro
(…) un’integrazione europea fortemente dominata da logiche tecnocratiche e dalle dinamiche incontrollate del commercio mondiale. Nazioni che posseggono grandi risorse finanziarie grazie all’esplosione incontrollata dei prezzi energetici e a sviluppi economici dominati da regimi totalitari hanno costituito “fondi sovrani”, che fanno shopping di aziende e industrie, anche in Italia. Questo pone un problema di difesa degli interessi strategici economici nazionali.”
Un giorno qualcuno dovrà prendersi la briga di dire a Fini e ad An che è preferibile avere governi che fissano le regole del gioco e si disinteressano della proprietà delle aziende, anziché governi che preferiscono tenersi in casa aziende destinate ad essere escluse dalla competizione internazionale e a declinare, presentando il conto ai contribuenti in nome dell'”interesse nazionale”. Peccato non esserci ancora arrivati, anche dopo la stucchevole (e costosa) telenovela di Alitalia, in cui notoriamente An ha uno dei propri principali serbatoi elettorali. Dovremmo dirci fortunati che qualche investitore internazionale si interessi a nostri asset, ma evidentemente la cultura della “perfida Albione” resta profondamente radicata nel dna del partito che ha fatto le acque a Fiuggi.
Il documento prosegue al punto 2, con la solita giaculatoria su come si stava bene, signora mia:
“Le generazioni precedenti hanno sempre avuto la prospettiva di poter salire la scala sociale, migliorare sé stessi e la condizione delle proprie famiglie. Il risparmio consentiva di acquistare la prima casa e, a volte, anche una seconda, di accedere a nuovi consumi: dall’automobile agli oggetti di lusso.”
Forse nessuno ha spiegato ad An che gran parte di quello sviluppo è stato comprato a credito: debito pubblico e ricchezza privata. Uno stock di debito pubblico sinistramente simile allo stock di risparmio privato. Restare aggrappati alla vecchia oleografia del boom economico dimostra una staticità di pensiero e di analisi che difficilmente riuscirà a produrre qualcosa di costruttivo per il futuro. Tra le ricette per ottenere questa rinascita economica, si cita l’introduzione del quoziente familiare. Non esattamente lo strumento migliore per stimolare l’aumento di offerta di lavoro e risolvere definitivamente il problema degli incapienti. Inoltre, per An,
“Netta deve essere la scelta verso una riduzione delle tasse orientata verso i redditi mediobassi e verso le famiglie, al contrario degli orientamenti sull’abbassamento delle aliquote massime verso la flat tax”
Tralasciamo la flat-tax, piagata da tante e troppe controindicazioni, e che nel teatrino italiano serve ormai solo a qualche giovanotto in cerca d’autore per posizionarsi nel marketing partitico. Che tra le finalità del fisco debba esservi anche quella redistributiva appare concetto acquisito. A patto di non tralasciare le modalità di finanziamento di ogni sgravio. I dati empirici mostrano senza ombra di dubbio che l’attenuazione della progressività fiscale ha prodotto ovunque un aumento di offerta di lavoro, incentivando anche l’assunzione di rischio d’impresa. Ciò ha generato forti aumenti di gettito fiscale. E’ quel gettito che può e deve essere utilizzato per riformare il welfare. Ma se queste risorse vengono a mancare perché An ha deciso che bisogna tassare chi rischia, intraprende e guadagna di più, dove troveremo i soldi per la coesione sociale? Mistero. E si badi, stiamo parlando di un programma letteralmente infarcito di crediti d’imposta, per ogni esigenza e gusto: creazione di asili aziendali, assistenza agli anziani, prestiti d’onore agli studenti, finanziamenti agevolati per i giovani che comprano casa, Mezzogiorno e dintorni. Pare che le risorse fiscali crescano sugli alberi, almeno su quelli piantati nei dintorni di via della Scrofa. Per quanto ci sforziamo, ci risulta peraltro assai difficile vedere il partito di Fini nel ruolo del razionalizzatore della spesa pubblica, ma a volte i miracoli accadono.
Sul commercio estero, che rappresenta la leva strategica della nostra crescita recente, An ha le idee molto chiare, ed ha anche individuato lo strumento d’intervento:
“(…) una grande petizione rivolta al Parlamento europeo, oltre che al governo italiano, in cui si chiedano degli interventi incisivi in ambito Wto contro tutti i Paesi, a cominciare dalla Cina, che nel commercio globale non rispettano il principio di reciprocità delle regole e degli impegni multilaterali”
Ora, se An ha notizia di violazioni cinesi delle norme della WTO lo segnali al governo italiano, che ricorrerà ai canali ufficiali per chiedere una procedura di infrazione contro la Cina. Prima di fare ciò, tuttavia, Fini ed i suoi si leggano le statistiche sulle esportazioni italiane in Cina. Scopriranno che una qualche forma di reciprocità pare già esistere. Tutto è perfettibile, s’intende. Ma forse il tessile cinese è servito agli italiani per acquistare a prezzi competitivi jeans e magliette, e ritrovarsi qualche soldo in tasca in più rispetto al preventivato, chissà.
Anche An sembra poi essere andata ad ingrossare le fila degli italiani innamorati di Sarkozy. Fenomeno imperscrutabile, almeno ai nostri occhi, data l’evanescenza dei risultati finora ottenuti dal presidente francese. E così, ecco tornare la sopracitata petizione-omnibus al Parlamento europeo:
“Nella stessa petizione si deve chiedere alle autorità di Bruxelles un intervento presso la Banca centrale europea per abbassare il tasso di sconto per ridurre il costo del denaro alle famiglie e alle imprese e per rendere meno forte l’euro nei confronti del dollaro.”
Ah, la nostalgia delle svalutazioni competitive del cambio! Anche qui, nessuna traccia delle statistiche sull’eccellente andamento dell’export dei paesi dell’area euro, né di quelle sul tuttora moderato livello dei tassi d’interesse reali tra Europa, Stati Uniti ed Asia. Peccato. Ma An pensa anche ai salariati, tranquilli:
“(…) va valutata attentamente la proposta del presidente Sarkozy di introdurre per legge la quattordicesima mensilità.”
Non è chiaro a cosa ci si riferisca, forse alla monetizzazione della RTT (la riduzione del tempo di lavoro), o all’utilizzo di parte della participation, istituti retributivi esclusivamente francesi. Quello che appare disarmante è che qualcuno possa seriamente pensare ad introdurre “per legge” un aumento di retribuzione.
Potremmo proseguire, ma sarebbe inutile. Avrete ben compreso che siamo di fronte ad un distillato di puro populismo e demagogia, che poggia su profonde fondamenta di ignoranza economica e che molto piacerebbe a Rifondazione comunista. Tale è il livello di (in)idoneità culturale della classe politica italiana a gestire le grandi trasformazioni planetarie della globalizzazione. A meno di non voler fare come l’altro no-global del centrodestra, Giulio Tremonti, ogni giorno di più acerrimo avversario del libero mercato. Il documento programmatico di An sembra scritto direttamente da Francesco Storace: alla luce di questa prosa appare davvero incomprensibile il motivo della scissione di qualche mese fa de La Destra. Non è certo casuale che il coordinatore del gruppo di lavoro sui temi economici e del lavoro sia Gianni Alemanno, noto esponente della destra sociale e socialista. Su tutto, un olezzo di muffa e di italietta provinciale ed autarchica dalle scarpe di cartone che ci ricorda tempi che pensavamo definitivamente accantonati. Resta da appurare che pensa di queste “ricette” chi doveva contribuire alla alfabetizzazione economica di An. Attendiamo lumi in merito.
A noi resta un dubbio: con un centrodestra che esprime “programmi” di tale fatta, forse è meglio votare per la sinistra moderata. Non ci azzecca comunque nulla col liberismo, ma almeno evita di trascinare il paese direttamente nel Terzo Mondo. Chiamasi politica di riduzione del danno, no?