Ma anche la ricerca economica resta laica

Su Liberalizzazioni.it Carlo Lottieri, traendo spunto dall’ormai “celebre” studio di tre ricercatori della Banca d’Italia, svolge alcune considerazioni epistemologiche sulla modellistica e sulla prescrittività che da essa discende. In sintesi ed in sostanza, Carlo contesta che dalle premesse metodologiche alla base dei modelli econometrici realizzati vengano tratte indicazioni di politica economica. Secondo Lottieri,

(…) La ricerca appare basata su premesse metodologiche lontane da quanti si collocano nella tradizione liberale classica e specialmente da quanti sono di scuola “austriaca”

E ancora:

Per quanti si collocano in una prospettiva “liberista”, quello che gli operai faranno – nel 2008 – di un loro eventuale salario rafforzato non è egualmente importante: ridurre le imposte è necessario e utile anche qualora gli operai decidessero di mettere i loro euro sotto il materasso

Par di capire che Lottieri, in sostanza, veda (e contesti) un teleologismo, un finalismo degli esiti del modello econometrico utilizzato dai ricercatori, come se la natura probabilistica del modello debba per ciò stesso delegittimare il medesimo, impedendogli di affermare che dalla riduzione della tassazione discende un aumento dei consumi. A nostro giudizio occorre invece comprendere i fondamenti teorici alla base della ricerca. In primo luogo, ogni modello econometrico parte da una logica stocastica, cioè probabilistica. E’ il paradigma della metodologia della ricerca sociale. Si parte da alcune “leggi” economiche, che altro non sono che ipotesi di lavoro, e si tenta di validarle attraverso la modellizzazione stocastica.

Nel caso in esame, le serie storiche utilizzate evidenziano che la riduzione della tassazione si traduce (con magnitudine e durata variabili nello spazio e nel tempo) proprio in un aumento dei consumi. E questo è quanto di più “laico” ci si possa attendere da un modello: la non disconferma empirica dei postulati della teoria economica. L’economia non è la legge della caduta dei gravi. Fortunatamente, aggiungiamo noi.

Se tale disconferma si fosse verificata, la “laicità” dell’approccio di ricerca avrebbe rimesso in discussione il paradigma stesso. Per questo riteniamo opportuno e necessario non creare commistioni tra ideologie (quale è la “scuola austriaca”) e paradigmi di ricerca, che da tali ideologie possono naturalmente discendere, e corroborarle ove confermati empiricamente.

Riguardo la “comunanza” contingente tra economisti mainstream e sindacalisti, essa è più apparente che reale: i secondi, infatti, appaiono tifosi dell’aumento di tassazione sui redditi di capitale (cioè del risparmio), che se adottata finirebbe con l’essere contraddittoria rispetto all’obiettivo di rilancio della crescita di lungo periodo. Infatti, la tassazione dei redditi di capitale equivale a tassazione di consumo futuro, a tutto vantaggio di quello corrente. Ciò frena l’accumulazione di capitale, e lo sviluppo della produttività, cioè la crescita di lungo periodo. E questo è ciò che emerge da modelli stocastici e teoria economica.

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