Un recente report di ricerca della divisione fixed income di Morgan Stanley, rilanciato da Naked Capitalism, evidenzia il ruolo fortemente distorsivo che i sussidi sui carburanti stanno giocando nei paesi in cui sono applicati e sull’economia globale. Secondo le stime degli autori del report, oggi circa un quarto del consumo mondiale di benzina è sussidiato e, in termini di popolazione, metà del pianeta “beneficia” (o così crede) di sussidi all’energia. In Cina (dove vigono i sussidi, anche se in progressiva riduzione) la benzina costa l’equivalente di 64 centesimi di dollaro il litro, contro 1 dollaro negli Stati Uniti e l’equivalente di circa 2,16 dollari nel Regno Unito. In molti paesi produttori i sussidi sono ancora più elevati. La benzina in Arabia Saudita costa 12 centesimi di dollaro il litro, solo 5 centesimi in Venezuela. Mentre i tre quarti del consumo mondiale di benzina sono soggetti a tassazione, il livello di tassazione “netta” è diminuito, per effetto della crescita dei sussidi al consumo, passati dal 10,4 per cento del consumo mondiale di benzine a fine 2006 al 22,2 per cento attuale, in evidente parallelo alla crescita del prezzo del barile. Ma cosa implica il crescente ricorso a sussidi ai prezzi dei carburanti?
In primo luogo, una insufficiente soppressione della domanda. A parità di ogni altra condizione, e con una curva di domanda inclinata negativamente (come di norma), prezzi più alti conducono a minore domanda. Questa potrebbe essere la spiegazione della situazione attuale, nella quale si osserva una crescita molto forte dei prezzi pur in presenza di condizioni di fatto recessive nel primo consumatore di petrolio del pianeta, gli Stati Uniti. Gli alti sussidi all’energia potrebbero fornire una parziale spiegazione all'”enigma”. La domanda mondiale di energia è così molto più alta di quanto sarebbe in assenza di sussidi.
In secondo luogo, l’inflazione nei paesi sviluppati (dove non vi sono sussidi, di norma) è mantenuta artificialmente elevata, a causa dell’eccesso di domanda prodotto dai sussidi dei paesi in via di sviluppo. Ma sarà difficile mantenere questi sussidi indefinitamente, soprattutto in condizioni di costante crescita dei prezzi dei carburanti sul mercato libero mondiale. Il motivo risiede evidentemente nelle voragini che i sussidi stanno scavando nei conti pubblici dei paesi emergenti. L’Indonesia ha già annunciato un rialzo di quasi il 30 per cento nei prezzi della benzina, ed anche Taiwan e Malaysia stanno studiando l’eventualità di ridurre i sussidi. Circostanza destinata a produrre (oltre a moti di piazza) anche l’emergere di condizioni di stagflazione, ma contemporaneamente (ed a parità di ogni altra condizione) anche l’attenuazione delle pressioni inflazionistiche nei paesi sviluppati, attraverso la soppressione di domanda causata dall’aumento del prezzo dell’energia nei paesi dove i sussidi sono rimossi.
Ecco perché è comunque preferibile lasciare che la libera interazione di domanda e offerta determini il prezzo di un bene. Per tutelare i soggetti più deboli è preferibile agire attraverso l’erogazione di sussidi monetari a compensazione dei maggior oneri sopportati con l’aumento dei prezzi di mercato. Questo tipo di sussidi, peraltro, proteggerebbe in modo mirato gli strati più poveri della popolazione dall’effetto pesantemente regressivo esercitato da rialzi dei prezzi di energia ed alimentari, senza sfiancare le finanze pubbliche compensando anche i più abbienti. Come è facile constatare, non tutti i sussidi sono creati uguali.
UPDATE: l’India aumenta dell’8-17 per cento i prezzi per diesel, benzina e GPL, per tentare di frenare l’espansione dei sussidi, che oggi valgono ben il 3 per cento del prodotto interno lordo.