Ieri, nella consueta liturgia domenicale, Io Padre Fondatore è tornato su quello che sembra un tema very pop presso la stampa italiana: le critiche alla Banca Centrale Europea. Rea di non aver immediatamente abbassato i tassi, quando “appariva chiaro” che la crisi dei mutui era qualcosa di epocale per potenziale di devastazione dell’economia mondiale. Vero, all’epoca i tassi non sono stati abbassati. Ma la Bce si muove sulla base di dati che riguardano l’economia dell’Area Euro, e qui la velocità di deterioramento congiunturale sta manifestandosi in tutta la sua gravità in queste settimane, non nei mesi scorsi. La Bce ha sbagliato ad alzare i tassi la scorsa estate? Forse, ma proviamo a ricordare che accadeva in quel periodo.
Il petrolio prossimo a 160 dollari, e le più accreditate previsioni che lo davano oltre i 200 in poche settimane; la forte domanda proveniente da Cina e paesi emergenti (do you remember decoupling?) gonfiava le vele dell’export europeo, soprattutto di beni capitali. I dati macro ed i modelli econometrici segnalavano una sostanziale tenuta dell’economia di Eurolandia nell’immediato, ed un suo rallentamento nei trimestri successivi, tale comunque da non richiedere tagli panicati ai tassi ufficiali d’interesse. Ora, pare che la Bce abbia la pessima abitudine di basare la propria funzione di reazione su modelli econometrici e su altre evidenze aneddotiche di mercato (come ad esempio l’inflazione implicita nei titoli di stato indicizzati ai prezzi al consumo), e non sulle sensazioni degli editorialisti. Per il futuro, occorrerà quindi suggerire a Trichet e al Direttorio di inserire questi previsori nel proprio modello, magari come indicatori contrarian, viste le impressionanti performance di alcuni di loro.
Il rialzo dei tassi della scorsa estate, quindi, si basava sulla mancata materializzazione di uno scenario crash per Eurolandia, e sul rischio più che concreto che la montante pressione inflazionistica si incorporasse nelle aspettative degli agenti economici (lavoratori ed imprese), causando una classica spirale prezzi-salari, che già le richieste salariali dei metalmeccanici tedeschi lasciavano intravvedere. Né aveva alcun senso, da questo punto di vista, argomentare sulla natura prevalentemente importata dell’inflazione. Oggi, dopo che gli Stati Uniti hanno aperto il vaso di Pandora della propria ultradecennale follia finanziaria, vediamo crescenti evidenze di stretta creditizia. E conseguentemente la Bce taglia i propri tassi di riferimento: un punto percentuale pieno, nel solo mese di ottobre. Altri tagli verranno, ma saranno evidence-based, come dicono gli economisti, dove evidence significa dati macro e riscontri di mercato, non sensazioni di politici e giornalisti.
Per criticare i “mancati tagli” della Bce bisognerebbe poi fare lo sforzo minimale di chiedersi se oggi la politica monetaria si trasmette all’economia reale con la stessa rapidità e attraverso gli stessi canali del passato. La risposta è no, e persino Scalfari arriva a questa conclusione: le banche non stanno prestandosi fondi, sono reciprocamente sospettose. Non solo: per ricostituire redditività e quindi patrimonializzazione, i prestatori stanno stringendo gli standard applicati ai richiedenti credito. E’ razionale, ma resta un circolo vizioso che alimenta il credit crunch. Date queste premesse, qualcuno crede davvero che fornire aggressivamente liquidità al sistema (come peraltro la Bce fa da oltre un anno a questa parte con operazioni straordinarie di repo) possa alleviare le pene dell’economia? No, e ci arriva persino Scalfari, con ciò abbattendo tutto il castello di carte della sua lamentazione contro la Eurotorre d’avorio:
“Sapete dove è finita la liquidità che la Bce ha fornito alle banche? E’ finita nelle casse della Bce, questo è il paradosso. Era stata data nella speranza che il credito interbancario, cioè quello che le banche si prestano reciprocamente, riprendesse a scorrere fluentemente. Invece le banche hanno ridepositato la liquidità presso la Banca centrale. Ci lucrano un differenziale ma intanto tagliano i crediti ai clienti. Le cifre sono queste: il 10 settembre i depositi delle banche alla Bce di Francoforte ammontavano a 48 milioni di euro; al 31 ottobre ammontano a 280 milioni. E’ evidente che il meccanismo si è inceppato ma nessuno è ancora corso ai ripari.”
Ottimo, Scalfari, 10 più, direbbe Francesco Amadori, quello dei polli. Anzi, quasi ottimo, perché lei scambia i miliardi per milioni. Ma ce la può fare, basta un po’ più di applicazione. In realtà, il Nostro riesce anche ad incolpare la Bce del fatto che l’inondazione di liquidità messa a disposizione delle banche non si è riversata sull’economia. Pare sia quello che accade in presenza di una crisi di solvibilità, che è cosa differente da una crisi di liquidità. Stando così le cose, e date le premesse, quante probabilità vi sono che il taglio dei tassi ufficiali abbia migliore sorte delle iniezioni di liquidità? Pochine, come quelle che ipotizzano che Scalfari riesca ad usare la logica.
Ultima considerazione, sul differenziale nei tassi ufficiali tra la Fed e la Bce. Scalfari non si dà pace di questa realtà, e non è il solo. Ma se le principali aree economiche del pianeta necessitassero di un unico tasso d’interesse, saremmo probabilmente arrivati al sogno mundelliano di un’unica valuta mondiale. C’è ancora tempo, sfortunatamente. Si, ma la crescita americana è rock, anche grazie alla reattività della Fed nel fornire stimolo monetario, si è soliti argomentare. Ecco un classico caso di post hoc, ergo propter hoc. Ci rileggiamo sul dato del pil del quarto trimestre.
Lettura consigliata a Scalfari e a tutti i Bce-fobici di casa nostra: Wolfgang Munchau.
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Una nota a margine, relativamente allo stato di salute delle banche italiane: le maggiori hanno tutte un Tier 1 prossimo al 6 per cento o lievemente superiore. Ben poca cosa in un panorama europeo in cui, dopo i salvataggi, ci si sta avvicinando alla doppia cifra, che alcuni economisti considerano la soglia di sicurezza di capitalizzazione, dopo aver scontato nuove svalutazioni per crediti inesigibili, causate anche dalla recessione. Che faranno le banche italiane? Possiamo ipotizzare soprattutto tagli ai dividendi, per trattenere capitale. Ma potrebbe non bastare. Gli azionisti di controllo delle banche rifiutano l’intervento del Tesoro, ma presto saranno chiamati a dare risposte concrete alla sottocapitalizzazione. E gli assetti proprietari basati su un elevato payout e sul controllo assoluto della banca da parte di un singolo azionista potrebbero entrare in crisi.