Non si inventa nulla

Quelli che seguono sono alcuni brani tratti dall’eccellente (ed altamente raccomandato, soprattutto per non specialisti) libro di Luigi Zingales e Raghuram J. Rajan, Salvare il capitalismo dai capitalisti. La dimostrazione che la storia, soprattutto quella economica, tende a ripetersi. Ad esempio, pochi sanno che il Piano Paulson ha avuto un antenato italiano, durante il Ventennio.

Genesi della crisi apparentemente diversa dall’attuale, esito molto simile:

“L’Italia è un esempio di come l’establishment abbia utilizzato il denaro pubblico per proteggere sé stesso e le proprie posizioni in un’economia gravemente colpita dalla Grande Depressione, con conseguenze che si protrassero per i successivi sessant’anni. Già prima della Grande Depressione, l’economia italiana era stata indebolita dalla decisione di Benito Mussolini di rivalutare la lira nel 1926. La conseguente deflazione fu molto forte. Nel giro di un anno il credito totale esteso dalla banca centrale al sistema bancario si ridusse del 36 per cento. Per supplire alla carenza di liquidità interna, le banche ricorsero al credito estero. Nel 1930, tuttavia, anche questo venne a mancare, e le riserve cominciarono ad assottigliarsi. Questo diede origine ad una grave crisi di liquidità del sistema bancario, il cui patrimonio era vincolato in crediti a lungo termine e partecipazioni azionarie. Una dopo l’altra, le maggiori banche chiesero aiuto al governo fascista. Il governo seguì lo stesso procedimento utilizzato in precedenza per operazioni di salvataggio di piccole banche, costituendo una società finanziaria sostenuta dallo stato e dalla banca centrale. Questa società acquistò tutte le azioni detenute nel portafoglio delle banche al loro prezzo di carico, che era più elevato, anziché al prezzo corrente. In tal modo il governo non si limitò a fornire liquidità al sistema bancario, ma assorbì parte delle perdite, diventando azionista di maggioranza in alcune società. […] Il costo dell’intera operazione fu pari al 10 per cento del Pil, una cifra impressionante che oggi, negli Stati Uniti, corrisponderebbe a mille miliardi di dollari.”

L’intero libro, che è incentrato sul fondamentale ruolo dei mercati finanziari nell’economia, può essere riassunto dal brano che segue, autentica sfera di cristallo per capire cosa ci aspetta:

Nel corso della storia il sistema del libero mercato è stato minacciato non tanto dai difetti economici innati, come direbbero i marxisti, quanto dalla sua dipendenza dalla volontà politica. Tale minaccia proviene principalmente da due gruppi di oppositori. I primi sono l’establishment, le élite dominanti, che già godono di una posizione stabile sul mercato e preferiscono che esso rimanga elitario. Chi siano le élite più pericolose dipende sempre dal paese e dal momento storico, ma è un ruolo che hanno svolto in diverse occasioni l’aristocrazia terriera, proprietari e manager di grandi società, i loro finanziatori, e le organizzazioni sindacali.
Il secondo gruppo di oppositori, quello dei disagiati, tende a venire a galla nei periodi di recessione economica. Quelli che hanno avuto la peggio nel processo di distruzione creatrice prodotto dai mercati – lavoratori disoccupati, investitori squattrinati e aziende in bancarotta – non riconoscono la legittimità di un sistema che li ha visti perdenti. Cercano un riscatto e, non trovandolo nei mercati, tentano la via della politica.
L’improbabile alleanza tra l’industriale affermato –  il capitalista nel titolo – e il lavoratore disoccupato e disagiato acquista ancora più forza tra le macerie di aziende fallite e i tagli al personale. In un periodo di depressione economica, il capitalista tenderà a preoccuparsi innanzitutto dei costi dovuti alla concorrenza promossa dai mercati liberi, piuttosto che pensare alle opportunità che essi creano. E il lavoratore disoccupato troverà molte altre persone nelle sue stesse condizioni e con le sue stesse preoccupazioni, e tenderà a organizzarsi insieme a loro. Con la copertura e l’organizzazione politica dei disagiati, il capitalista si impadronisce dell’agenda politica.
Perché in effetti, in momenti simili, solo un politico molto coraggioso (o forse temerario) esalterebbe le virtù del libero mercato. Anziché considerare la distruzione come inevitabile contraltare della creazione, per il politico è di gran lunga più facile cedere al capitalista che solo in apparenza si fa sostenitore della causa dei bisognosi, chiedendo di mettere a freno la concorrenza e i mercati. In momenti simili l’intervento politico, con il pretesto di apportare miglioramenti ai mercati per impedire recessioni future, mira in realtà a ostacolarne il funzionamento. Il capitalista può contrastare l’organo più efficiente del capitalismo, e la gente, il cui futuro è messo direttamente a repentaglio da tali provvedimenti, resta a guardare, raramente protesta, spesso non capisce, e ogni tanto applaude.

Raghuram G. Rajan, Luigi Zingales
Salvare il capitalismo dai capitalisti
ET Saggi
Einaudi, 2008

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