L’uomo che visse nel futuro

Nell’agosto 2005, all’annuale conferenza della Fed a Jackson Hole, in Wyoming, si celebravano i fasti del Ventennio di Alan Greenspan, l’uomo che aveva salvato i mercati finanziari e l’economia mondiale con le sue poderose e protratte iniezioni di liquidità. In quel consesso, un giovane (per gli standard italiani) ma già affermato economista di origini indiane, Raghuram Rajan, docente alla Booth Graduate School of Business dell’Università di Chicago, presentò un paper, intitolato “Lo sviluppo finanziario ha reso il mondo più rischioso?“.

In esso, Rajam indicava puntigliosamente tutti gli elementi che, un paio di anni dopo, si sarebbero abbattuti con violenza sul sistema finanziario:

  1. Gl incentivi erano fortemente orientati a favore del settore finanziario;
  2. I credit default swaps generavano enormi ritorni, ma il mercato sembrava ignorare il rischio (sistemico) di insolvenza dei venditori di protezione;
  3. Le banche detenevano una porzione dei titoli da esse creati (nel caso di Abs e e Cdo la cosiddetta equity tranche, quella che per prima assorbe le insolvenze dei debitori), mettendo a rischio l’intero sistema creditizio;
  4. Il rischio del venir meno della fiducia tra le banche;
  5. In quest’ultimo caso, il mercato interbancario avrebbe rischiato il congelamento, e ciò avrebbe causato una crisi finanziaria su vasta scala;

Questa è ad oggi la previsione in assoluto più precisa e dettagliata della crisi. Formulata in un contesto di celebrazione del culto del semidio Greenspan, è valsa al suo ideatore le gelide reazioni dei partecipanti, tra i quali Lawrence Summers, il futuro dominus della politica economica di Barack Obama, che subito definì “sbagliate” le premesse di Rajan, forse anche per il persistente deficit di comunicazione (e di feeling) tra economisti che studiano i mercati finanziari e quelli che si occupano dell’economia più in generale.

Rajan, da sempre, è un convinto sostenitore del potere dei mercati finanziari di allocare correttamente le risorse nell’economia. Ma, come si evince anche dall’eccellente “Salvare il capitalismo dai capitalisti“, scritto a quattro mani col collega Luigi Zingales, i mercati finanziari necessitano comunque di regolazione (quella che Rajan definisce “manutenzione dell’infrastruttura finanziaria”), per impedire che gli interessi di élites dominanti e gruppi di pressione (inclusi quanti sono stati penalizzati dalle dinamiche di mercato) finiscano col bloccare l’innovazione. Rajan, che non fa mistero di considerare John Maynard Keynes come il proprio eroe intellettuale, si preoccupa di studiare una regolazione leggera ma robusta, tale da evitare sia gli aggiramenti di una finanza sempre più “liquida”, sia reazioni protezionistiche come quelle che finirono con l’esacerbare la crisi del 1929. In questo senso, secondo Rajan, la principale linea-guida del sistema incentivante dei manager finanziari dovrebbe prevedere l’eliminazione dell’asimmetria tra premi e sanzioni, che ha finora visto le seconde pressoché inesistenti; a tal fine, si può pensare di introdurre delle forme di revocatoria dei bonus conseguiti vendendo titoli che si sono successivamente dimostrati tossici o comunque generatori di perdite. Qualcosa sta forse cominciando a cambiare anche in questo sistema di incentivi, ma è presto per dire se si tratti di effettiva inversione di tendenza.

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