Prossima fermata, le assicurazioni vita?

Nei giorni scorsi il Tesoro statunitense ha annunciato l’intenzione di utilizzare una frazione degli ormai esigui fondi rimasti al TARP per infusioni di capitale alle assicurazioni vita, perlomeno a quelle che possono ricevere tali fondi, ad esempio perché controllano un istituto di credito. L’importo a cui pensa il governo è molto esiguo, dell’ordine di 1-3 miliardi di dollari, ma i problemi dei life insurers potrebbero essere ben maggiori. E’ noto che le assicurazioni vita sono state, nel recente passato, avide acquirenti di prodotti strutturati, tali da garantire significative maggiorazioni di rendimento “senza rischio”. Questa descrizione, fino a non molto tempo fa, corrispondeva ai Collateralized Debt Obligation (CDO), agli Abs e a tutte le strutture beneficiate dal rating massimo. Come purtroppo abbiamo appreso, nel mondo della finanza strutturata la tripla A non è garanzia di alcunché. E’ quindi lecito sospettare che le assicurazioni vita abbiano fatto il pieno di carta tossica o perlomeno problematica. Solo che, a differenza delle banche, gli assicuratori non hanno alcun obbligo di mark-to-market, limitandosi a contabilizzare le perdite sui propri investimenti solo al momento in cui si verifica un default.

Immaginate cosa accadrebbe se, soprattutto negli Stati Uniti, gli assicurati maturassero il convicimento (non necessariamente fondato) che i loro premi assicurativi sono finiti in carta straccia. Partirebbero massicce richieste di rimborso delle polizze, che costringerebbero le assicurazioni a liquidare il proprio portafoglio di attivi, con una grave sfasatura temporale tra passività a breve (le richieste di rimborso) ed investimenti a lungo termine, non prontamente liquidabili. Anche in questo caso, ci troveremmo di fronte all’amletico dubbio: è una crisi di liquidità o di solvibilità? Se valesse la prima ipotesi (cioè gli strutturati in cui le assicurazioni-vita hanno investito sono solidi e pagheranno regolarmente interessi e capitale), il Tesoro potrebbe intervenire come fornitore di liquidità, ad esempio riassicurando le polizze-vita. In quel caso, il ricorso ai fondi del TARP per emettere le solite azioni privilegiate non avrebbe molto senso. Se invece gli attivi delle assicurazioni sono effettivamente finiti in CDO e Abs con speranze di recupero prossime allo zero, ci sarà bisogno di ben altro che una iniezione di capitale per 1-3 miliardi di dollari, ed anche le eventuali garanzie pubbliche sulle polizze non sarebbero delle passività non troppo contingenti ma maledettamente tangibili. Il tempo dirà, ma fin d’ora possiamo trarre la conclusione che, se i flussi di cassa sottostanti ad un titolo non esistono, non attuare il mark-to-market serve solo a rinviare la resa dei conti.

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