Torniamo sull’utile da 2,5 miliardi di dollari che Citigroup avrebbe conseguito nel primo trimestre. In un precedente post avevamo segnalato la possibilità che tale guadagno derivasse dal riacquisto di proprio debito, e dalla contabilizzazione a patrimonio netto della differenza tra valore di rimborso e prezzo di acquisto. Invece, pare che la componente straordinaria di reddito derivi da aggiustamenti del valore di credito (credit value adjustment) su posizioni in derivati. In altri termini, Citi avrebbe comprato protezione creditizia sul proprio nome attraverso i credit default swap, scommettendo sull’allargamento degli spread, cioè sull’aumento del rischio del proprio dissesto.
Surrealmente geniale, ma ora basta dormire sugli allori: la qualità degli attivi della banca di Vikram Pandit è in costante e rapido deterioramento, ed occorre inventarsi qualcosa per il secondo trimestre. Dura la vita, quando si è banchieri.
UPDATE – Anche i conti di Bank of America (di pessima qualità, come nelle attese) mostrano la stessa tecnicalità: il reddito non da interessi di BofA include 2,2 miliardi di dollari di utili relativi ad aggiustamenti di mark-to-market su alcune note strutturate di Merrill Lynch (oggi acquisita) come risultato di allargamenti di credit spreads. Resta da riflettere sulle parole di Jamie Dimon (JPMorgan) di qualche settimana fa: “il mese di marzo è stato difficile”. Considerato che a marzo il rischio di credito delle banche si è mediamente ridotto, spesso in modo considerevole, quelle che hanno scommesso contro loro stesse potrebbero aver subito perdite di una certa entità. Ma anche limitandosi alla gestione contabile del proprio debito, in virtù del mark-to-market (che si applica all’attivo così come alle passività), si giunge a risultati demenziali, come rileva lo stesso Dimon nell’ultima lettera agli azionisti di JPM: “Portato all’estremo, se una compagnia si dirige verso il dissesto, finirà col contabilizzare enormi profitti sul proprio debito in essere, fino al punto in cui essa dichiara fallimento, e a quel punto non avrebbe più importanza.”