Piccolo infortunio del bravissimo Giancarlo Perna, su il Giornale. In uno dei suoi celebri ritratti, dedicato a Massimo D’Alema, Perna scrive:
La seconda alzata d’ingegno fu avallare la sottrazione della Telecom, che era pubblica, da parte di un avventuroso gruppo privato. La «cordata padana» di Colaninno e soci ci fece su molti soldi rifilando poi l’azienda depauperata a Marco Tronchetti Provera, lo sprovveduto di turno. Il premier D’Alema fu, nella circostanza, così alacre da suscitare l’ironia dell’ex parlamentare di sinistra e noto avvocatone, Guido Rossi, che definì Palazzo Chigi «l’unica merchant bank (banca d’affari, ndr) in cui non si parla inglese»
La sequenza temporale degli eventi non è esattamente questa.
Basta leggere su Wikipedia:
Sotto la presidenza di Guido Rossi, il 20 ottobre 1997 viene attuata dal governo la privatizzazione della società: dalla vendita del 35,26% del capitale si ricavano circa 26.000 miliardi di lire. La privatizzazione, che comporta la quasi totale uscita del Ministero del Tesoro dall’azionariato Telecom, viene realizzata con la modalità del cosiddetto nocciolo duro: si vende cercando di creare un gruppo di azionisti che siano in grado di farsi carico della gestione della società. A conclusione dell’OPV (Offerta pubblica di vendita), le azioni vengono collocate a 10.902 lire; il 27 ottobre 1997 Telecom Italia debutta nella Borsa Italiana[1]. A causa della scarsa risposta degli investitori italiani il nocciolo duro non è in realtà tale: il gruppo con capofila gli Agnelli riunisce solo il 6,62% delle azioni e si rivela molto fragile.
Quindi, tra la privatizzazione di Telecom e la scalata di Colaninno trascorre oltre un anno, durante il quale l’azienda viene “governata” dal nocciolino di controllo targato Ifil-Agnelli, avendo come capo-azienda Gian Mario Rossignolo. Da come scrive Perna, si potrebbe essere indotti a credere che la Telecom pubblica sia stata consegnata da D’Alema ai “capitani coraggiosi” di Colaninno, mentre le cose andarono diversamente: fu il governo Prodi a consegnare Telecom Italia al gruppo Agnelli, perpetuandone la capacità di giocare con le scatole cinesi, e di controllare gruppi industriali con poco capitale investito.
Naturalmente Prodi disse che si andava a costruire una “public company“, mitologica creatura della fine degli Anni Novanta, invocata quando si doveva consegnare un’impresa pubblica agli amici senza far pagare loro il premio di controllo. L’opera del “noto avvocatone” Guido Rossi fu certamente determinante per il risultato. Caduto Prodi e giunto D’Alema a Palazzo Chigi, dopo un anno di passione per Telecom, durante il quale gli Agnelli presero tristemente coscienza di non avere i soldini per comprarsi le licenze Umts, vi fu il passaggio a Colaninno-Gnutti. Il resto lo sappiamo: Telecom Italia sta lentamente ma inesorabilmente declinando, simbolo (e vittima) di un paese di parolai e faccendieri senza soldi né idee.
Tornando a Perna, ci piacerebbe che dedicasse uno dei suoi prossimi ritratti a Roberto Colaninno, il “patriota coraggioso” a cui il fratello del datore di lavoro di Perna ha consegnato Alitalia, con una ricca dote fatta di denaro dei contribuenti e della testa dell’Antitrust.