E dopo il menù, il programma

Dopo il convivio a casa di Gianni Letta, scoppierà la pace tra Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini? Pare sia andato tutto bene, almeno a giudicare dalle prime dichiarazioni degli entourages dei due leader. La sintesi più efficace è quella di Fabrizio Cicchitto: “adesso bisogna combinare una concezione leaderistica del partito-movimento con quella che richiede sedi permanenti di dibattito e un serio lavoro sul territorio”. Vero, forse i termini della questione sono sempre stati quelli. Fini è portatore di posizioni che egli stesso definisce “di minoranza” nel Pdl, su immigrazione e bioetica. Giungere a momenti dialettici “strutturati” entro il partito, senza che ciò debba determinare accuse di tradimento da parte di schiumanti militanti o minacce di dossieraggio sarebbe già un gran bel passo avanti.

Se possiamo permetterci, suggeriremmo alla “parte” che si riconosce nel presidente della Camera di lavorare anche sui temi economici. In materia, mesi addietro abbiamo già avuto una rinfrescante sensazione, ma anche l’impressione che si sia trattato solo di un episodio. Una buona base di partenza per l’elaborazione e la strutturazione di una visione di politica economica (e più in generale di public policy) potrebbero essere, ad esempio, le risposte agli otto punti elaborati da Michele Boldrin. Per offrire contenuti tangibili, sui quali poter esprimere un giudizio compiuto sulla parte finiana del partito. Diversamente il rischio che vediamo è che, da “cabine di regia” e “patti di consultazione permanente” possa scaturire solo un’immagine di politique politicienne che servirebbe solo a fare avvizzire il dibattito entro il Pdl, legandone le sorti agli umani destini del suo leader carismatico. In quel caso potremmo finire davvero a scoprire che il Pdl non è too big to fail.

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