Su The Baseline Scenario, eccellente contributo di Dan Geldon, fellow del Roosevelt Institute ex consulente del Congressional Oversight Panel. L’ampiezza della crisi ha provocato un dibattito sulle presunte debolezze della teoria del libero mercato. Secondo Geldon, un aspetto rimasto in ombra in questo dibattito è l’analisi del modo in cui alcuni adepti libero-mercatisti avrebbero distrutto alcune architravi del funzionamento dei mercati, come quello di “contratti significativi”, nel senso di intelligibili (meaningful contracts). La storia non data dagli anni Ottanta o Novanta, quelli della deregulation finanziaria, ma addirittura dal 1944, anno in cui Friedrich Von Hayek pubblicò The Road to Serfdom, seminando quelle idee anti-regolazione giunte poi ai giorni nostri, solo per essere snaturate nel modo che stiamo per vedere.
L’argomentazione di fondo di Hayek era che la libertà contrattuale e d’intrapresa, senza intromissioni governative, avrebbe condotto all’allocazione efficiente delle risorse ed agevolato la crescita economica. Milton Friedman elaborò le idee di Hayek ponendo le basi per quella che sarebbe diventata la visione economica dominante anche a Washington.
Oggi, in molti hanno notato che tra le determinanti della crisi vi è stata asimmetria informativa, moral hazard, e costi di agenzia (la relazione tra management e azionariato), e che a tali fallimenti del mercato hanno contribuito quelli che di Hayek e Friedman dovevano essere gli eredi, attraverso la proliferazione di prodotti estremamente complessi, dai costi e dai pericoli occulti, oltre a contrastare con ogni mezzo la regolazione governativa sulla finanza. Quando i contratti sono sepolti sotto un tale grado di complessità giuridica, al punto che i prospetti degli strumenti d’investimento risultano incomprensibili anche ai legali, è difficile pensare che il consumatore sia in grado di ponderare costi e benefici. La comprensibilità dei contratti, nell’approccio hayekiano, minimizza la necessità di intervento pubblico nell’economia, ma gli attuali contratti su prodotti finanziari hanno un tale grado di esoterica opacità da suggerire nuove regolazioni, esterne alla sfera dei contratti privati. Sulla complessità contrattuale e la nuova asimmetria informativa da essa provocata (che è, ricordiamolo, causa di fallimento del mercato), è utile lasciare la parola a Geldon:
Some conservatives are quick to blame the fine print on litigation and trial lawyers. But that just doesn’t explain all the complexity that has come to define Wall Street. Talk to a CEO of a major credit card issuer privately, and they will admit that “stealth pricing” was purposefully innovated to maximize profit by making contracts difficult to understand and compare. The proliferation of opacity and the lack of competition in the industry are not an accident.
The industry has not only manipulated contract language to prevent real agreement (or what contract lawyers call “meetings of the mind”), but it also massively increased its negotiating leverage with counterparties by making it so onerous to walk away from boilerplate and incomprehensible terms and conditions. It’s not easy to negotiate with the other side of a 1-800 number, nor is it easy to go toe-to-toe with an industry that can and does get away with tricking and trapping even supposedly sophisticated investors.
La più grande lezione che abbiamo appreso dalla crisi, sempre secondo Geldon, è che gli “interessi dell’industria” e quelli del “libero mercato” non sono la stessa cosa. L’industria finanziaria utilizza l’indecifrabilità dei mercati per alzare una barriera protettiva verso i consumatori, una vera e propria rendita di posizione, e ricorre agli extraprofitti così accumulati per modificare a proprio vantaggio la regolazione pubblica, bailout inclusi. I nuovi alfieri del “liberismo con i soldi dei contribuenti” stanno lastricando la strada d’inferno che porta all’eccesso di regolazione e di ingerenza pubblica. Ora più che mai, quindi, occorre salvare il capitalismo dai capitalisti.