Un nostro assiduo lettore ci ha inviato copia del modello S.C.I.A. utilizzato dal comune di Cuneo, che potete ammirare in tutta la sua magnificenza qui. Per chi non lo sapesse, la S.C.I.A. è la Segnalazione Certificata di Inizio Attività, lanciata con grande fanfara dall’esecutivo la scorsa estate, e che sostituisce la D.I.A. (Dichiarazione di Inizio Attività). Negli intendimenti del governo, e soprattutto del ministro dell’Economia, doveva trattarsi della pietra angolare su cui costruire l’Edificio della Libertà, con la maiuscola, in attesa di mettere tutto in Costituzione. Le cose stanno andando diversamente da quanto sperato.
Già il dossier governativo di presentazione del provvedimento recava un incipit da leccarsi i baffi:
«Il senso di tale riforma è quello della riduzione degli oneri amministrativi per il privato, consentendogli di intraprendere un’attività economica sin dalla data di presentazione di una semplice segnalazione all’amministrazione pubblica competente»
E’ la rivoluzione copernican-tremontiana: “è permesso fare tutto, e subito, tranne quello che è espressamente vietato”. Ad esempio così:
«Con l’obiettivo di accelerare e semplificare rispetto alla precedente disciplina contenuta nella legge 241/90, che prevedeva il decorso del termine di trenta giorni prima di poter avviare l’attività oggetto della Dia, la Scia consente di iniziare l’attività immediatamente e senza necessità di attendere la scadenza di alcun termine»
Questo è il battistrada concettuale ed ideologico dell’Operazione Libertà. Si parte subito, l’intendance suivra. Ed ecco quindi che l’intendance arriva, senza il fiatone e con un randello nodoso:
«La norma richiede espressamente che alla segnalazione certificata di inizio attività siano allegate, tra l’altro, le attestazioni di tecnici abilitati, con gli elaborati progettuali necessari per consentire le verifiche successive di competenza dell’amministrazione»
In pratica, i chilometri di red tape non dovete produrli ex ante, ma ex post. Altrimenti:
«L’amministrazione competente, in caso di accertata carenza dei requisiti e dei presupposti, nel termine di sessanta giorni dal ricevimento della segnalazione, adotta motivati provvedimenti di divieto di prosecuzione dell’attività e di rimozione degli eventuali effetti dannosi di essa, salvo che, se possibile, l’interessato provveda a conformare alla normativa vigente la stessa attività ed i suoi effetti entro un termine fissato dall’amministrazione, in ogni caso non inferiore a trenta giorni»
Dopo di che:
«Decorso il termine per l’adozione dei provvedimenti, all’amministrazione è consentito intervenire solo in presenza del pericolo di un danno per il patrimonio artistico e culturale, per l’ambiente, per la salute, per la sicurezza pubblica o difesa nazionale e previo motivato accertamento dell’impossibilità di tutelare comunque tali interessi mediante conformazione dell’attività dei privati alla normativa vigente»
Cioè, sempre. Invertendo l’ordine di timbri e ceralacca, il prodotto non cambia. Pensate che la SCIA che abbiamo linkato serve, in quel di Cuneo, per installare una tenda da sole, una vetrina o un’insegna di esercizio commerciale. Servono piantine, rendering, estratti di mappa. E persino una relazione per l’eliminazione delle barriere architettoniche. Per una tenda da sole. Il trionfo dell’interposizione burocratica sul cittadino, con tutto quello che ciò implica quando si ha necessità di “velocizzare” alcune pratiche, per usare una perifrasi. Domanda naif del giorno: di chi sono grandi elemosiniere le burocrazie locali che lottano per la sopravvivenza e contro la semplificazione?
E’ questa la Rivoluzione Liberale, per la quale da sedici anni questo paese vive una guerra civile fredda tra gli Innovatori e le Oscure Forze della Reazione? Per essere negativamente bipartisan potremmo però anche rovesciare la prospettiva, e interpretare questa psicopatologia burocratica come il sottoprodotto della riforma del Titolo V della Costituzione, voluto dal centrosinistra nel 2001, e mai cancellato dal centrodestra. Una legge ordinaria non può intervenire sulle competenze delegate agli enti locali in forza del Titolo V della Costituzione, altrimenti la Consulta verrebbe sommersa da conflitti di attribuzione, come di fatto accade. E quindi? Quindi pare che di questo passo, anche in vista di un federalismo che pare un Titolo V agli steroidi, passeremo dal decentramento alla delocalizzazione. Chi mai investirebbe in un paese con regole simili?