Abbiamo il primo replicante che giunge alla meta, signore e signori: il senatore del PdL Stefano De Lillo, noto finora per essere il presidente del Roma Club Palazzo Madama, ha comunicato oggi al mondo che la prossima settimana nascerà il primo (?) Tea Party in Italia. Vi riproduciamo il testo del comunicato di De Lillo non perché i contenuti siano particolarmente rilevanti, ma perché indicativo della elevata dissociazione mentale (o forse è solo dozzinale paraculismo) esistente presso la sedicente classe dirigente di questo paese.
Scrive dunque De Lillo:
«I Tea Party (Taxes Enough Already – basta con le tasse) sono associazioni spontanee che si battono contro lo statalismo, il crescere della spesa pubblica e l’eccesso della pressione fiscale. La secca sconfitta di Barack Obama, la rimonta dei repubblicani e la bella affermazione dei Tea Party ci spingono a riflettere ma soprattutto ad agire in vista del rilancio del Popolo della Libertà»
Basterebbero queste poche, originalissime righe per invitare De Lillo a guardare in casa propria, ma sarebbe troppo scontato.
Secondo l’esponente del PdL il voto di midterm ha dimostrato che la ricetta statalista di Obama “non premia e che è necessario aprire al mercato l’economia attraverso una serie di misure, e riducendo la presenza dello Stato”. Bravo senatore, così si parla:
«Soprattutto in Italia oggi c’è questa diffusa esigenza. E sulla base dell’esperienza americana sono convinto che sia opportuno importare il modello del Tea Party anche nel nostro Paese, al fine di dare uno scossone, in senso liberale, all’economia. Questo però non significa dare vita ad un altro partito (e per carità, ndPh.), queste cose le lasciamo fare agli altri, ma piuttosto creare una rete di associazioni che lavorino sul territorio al fianco dei cittadini e coscienti delle loro esigenze»
E fin qui, chiederemmo a De Lillo per quale motivo il suo partito non abbia finora fatto nulla almeno per stabilizzare l’incidenza della spesa pubblica sul Pil, ma forse aspettavano di trovare un modello esterno a cui ispirarsi, e non sarebbe neppure la prima volta entro il recinto del Pdl, partito proteiforme ed un po’ ruffiano, sotto molteplici accezioni. Ad esempio, De Lillo sa che il suo coordinatore si sdilinquisce per la riforma sanitaria “statalista” di Obama, ovviamente sempre “ad maiorem gloriam Silvii“?
Ma il presidente del Roma Club Palazzo Madama non si cura di questi dettagli, ed ha già costruito il fondale del suo teatrino: per adattarlo alla realtà italiana mancano solo le due paroline magiche, ed eccole servite:
«Una rete di Tea Party che si ispiri al cattolicesimo liberale e che andrà ad affiancare e rafforzare il Pdl e la leadership di Silvio Berlusconi, unico politico in Italia capace di realizzare la ‘rivoluzione liberale’. Diminuire le tasse, ridurre gli sprechi, introdurre il quoziente fiscale familiare, predisporre interventi di sussidiarietà e incentivare la libera attività imprenditoriale dei cittadini: sono questi i punti attorno ai quali dovrà ruotare l’azione dei Tea Party italiani. Obiettivi che gli americani da questa notte hanno dimostrato di apprezzare ma soprattutto di condividere e che in Italia da troppo tempo ormai rimangono nel cassetto»
Eccolo, il cattolicesimo liberale! E sotto la guida di Silvio Berlusconi, indisputato modello di virtù cristiana. Abbiamo anche gli slogan di questa rinascita spirituale del nostro paese: “meglio le belle ragazze che essere gay”, oppure una barzelletta con bestemmia che monsignor Fisichella si affretterà a “contestualizzare”. Però De Lillo dovrebbe essere meno sciatto: nel suo programma da Tea Party alla vaccinara ha dimenticato gli asili nido. Perché è l’ora della rivoluzione, sappiatelo.