Paolo Savona ha la soluzione: il default di Eurolandia

*Post approssimativamente tecnico con venature ironiche, a partire dal titolo

Nei giorni scorsi il professor Paolo Savona ha lanciato, dalle colonne de il Foglio, una proposta di “sistemazione dei debiti sovrani per consentire il ritorno a un indispensabile rigore monetario e fiscale”. Tentiamo di analizzarla.

Savona inizia commentando la bocciatura della proposta Tremonti-Juncker di istituire degli Eurobond (o E-bond), giudicandola inidonea a fronteggiare il problema del prestatore di ultima istanza, “dotato di sovranità monetaria e, quindi, in condizione di immettere sul mercato fondi illimitati”. Quest’ultima operazione, secondo Savona, avrebbe la finalità di contrastare una non meglio identificata “speculazione”.

Premesso che “speculazione”, nella nostra concezione, è il tentativo del mercato di “vedere il bluff” di qualsiasi situazione economico-finanziaria non sostenibile, a Savona sembra sfuggire che gli E-bond non servono a surrogare il “prestatore di ultima istanza in grado di immettere sul mercato fondi in quantità illimitata”, perché quest’ultimo c’è già, si chiama Banca centrale europea, e fornisce di fatto liquidità illimitata attraverso operazioni di rifinanziamento a tasso fisso, largamente usate dalle banche dei paesi che hanno difficoltà ad accedere ai mercati del funding. Il problema, quindi, non è la liquidità ma la solvibilità, come abbiamo più volte segnalato.

Subito dopo aver invocato un prestatore di ultima istanza che già esiste, Savona sostiene che

«Questo è il motivo per cui il Fondo europeo non va funzionando contro la speculazione, mentre ha funzionato e funziona la decisione della Bce di acquistare titoli pubblici in quantità illimitate»

In realtà la Bce non ha affatto deciso di “acquistare titoli pubblici in quantità illimitate”. Il programma di acquisto di covered bonds in misura pari a 60 miliardi di euro si è concluso mesi addietro, ed oggi sono in essere le operazioni di rifinanziamento a lungo termine (LTRO) di durata pari ad un trimestre, contro i 12 mesi utilizzati lo scorso anno, di cui abbiamo detto sopra, e che non sono acquisti a titolo definitivo ma prestiti garantiti da collaterale. Altra frase incomprensibile è quella che esprime il concetto secondo il quale

«Gli E-bond servono per stimolare lo sviluppo, non per fronteggiare la speculazione; contro di questa solo la produzione di un “bene collettivo”, come il lending of last resort, può avere chance di successo; non è quindi necessario distorcere le finalità dei bond europei, basta operare con le garanzie»

In realtà gli E-bond, se fossero rappresentativi di tutto il debito sovrano emesso in Eurolandia, servirebbero per finanziare tutto il deficit spending dell’area, senza distinzione tra spese correnti ed in conto capitale. Savona passa poi a reiterare la sua proposta, che consiste nel trasferire uno stock di debito in misura pari al 60 per cento del rapporto-debito-Pil, dopo averne ristrutturato le condizioni di durata e tasso, nientemeno che presso il Fondo Monetario Internazionale, denominandoli non più in euro bensì in Diritti Speciali di Prelievo (DSP).

In sostanza ed in soldoni, Savona sta dipingendo un default di Eurolandia, che verrebbe messa sotto tutela del FMI. A patto, si affretta a precisare l’ordinario di politica economica alla Luiss, che gli Stati Uniti rinuncino “a usare il dollaro come free raider dei mercati internazionali”. In altri termini, che gli Usa rinuncino più o meno volontariamente al ruolo di valuta di riserva internazionale detenuto dal biglietto verde. Tra i benefici dell’operazione, Savona cita l’appeal per gli investitori internazionali, che godrebbero di “rimborsi a valori più stabili delle valute di emissione”. Sembra il bancor di John Maynard Keynes o la leggendaria moneta unica mondiale vaticinata da Robert Mundell, presunto “padre” dell’euro. Ricapitolando: Eurolandia si fa commissariare dal FMI, il cui primo contributore sono gli americani, che a loro volta abdicano dal loro ruolo di potenza egemone globale. Ma a beneficio di chi, in questo caso? Dello yuan?

Del tutto incomprensibile, inoltre, quest’altro “beneficio” che i cinesi avrebbero dall’intera operazione:

«Principali vantaggi: incontrare l’interesse dichiarato della Cina (e di altri detentori di titoli in dollari) di trasformare il loro credito in Dsp, ottenendo implicitamente una garanzia sul valore di rimborso, in contropartita di un più rapido aggiustamento del cambio dello yuan»

Ma i cinesi non erano sommersi dalle riserve in dollari? Che c’entra l’euro? Vai a saperlo. Ma non è tutto: a completamento di una costruzione che definire barocca sarebbe assai limitativo, Savona ci ammannisce anche il piano B, quello che non umilia l’euro:

«Come second best l’operazione va fatta con la Bce – senza la trasformazione degli euro in Dsp – sulla base di piani di rimborso con tempi dilazionati e con un premio adeguato. La Bce non sarebbe costretta a immettere nuova base monetaria, ma si renderebbe garante di un ipotetico default, con conseguente riduzione del premio al rischio sui debiti sovrani dell’Euroarea»

Ma quando mai una banca centrale indipendente “si rende garante” dell’ipotetico default di un sovrano, sia esso stato nazionale o superstato come diverrebbe la Ue? Argomentando in questo modo, Savona esprime il proprio struggimento per i bei tempi andati delle banche centrali sottomesse al Tesoro, e a nulla serve specificare che la Bce non dovrebbe essere costretta a creare nuova base monetaria. Del resto, Savona soffre talmente di nostalgia che, in un precedente intervento pubblico, ha invocato l’uscita dell’Italia dall’euro, per porre termine alla “mortificazione del vincolo estero” (sic). In pratica, un ritorno alle svalutazioni dei bei tempi andati ed alla liretta sudamericana. Il contributo dell’accademia italiana alla risoluzione della crisi dell’euro resta alquanto scadente.

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