di Collettivo noiseFromAmerika
Dopo un anno riappare in libreria Tremonti, istruzioni per il disuso, il libro che abbiamo scritto, firmandoci “Collettivo noiseFromAmerika”, per ristabilire la verità sul nostro ministro dell’Economia. La nuova edizione, che contiene una lunga postfazione in cui si discutono gli eventi economici dell’ultimo anno,si è resa necessarai perché il libro era esaurito ma, soprattutto, perché il 2010 ha cominciato a rivelare la natura socialmente perniciosa del bluff politico-intellettuale costituito da Giulio Tremonti, in arte Voltremont, evocazione del Voldemort acerrimo nemico del maghetto buono Harry Potter.
Voltremont, il nomignolo gli abbiamo assegnato per ragioni che potete trovare ne libro ne esce, se possibile, peggio che un anno fa. Il 2010 ha posto fine, si spera per sempre, alla ridicola e immeritata fama di ‘mago previsore’ che il ministro si era cucito addosso (con una grossa dose di complicità da parte di giornalisti servili o banalmente ignoranti).
Ricordate quando si raccontava che i conti pubblici italiani erano stati ‘messi in sicurezza’? Che nella crisi l’Italia se la stava cavando ‘meglio degli altri’? Che la riforma federalista avrebbe inaugurato una nuova era in cui le tasse calavano, i lupi sarebbero diventati amici degli agnelli e nei fiumi sarebbe scorso latte e miele? Come cantava Bob Dylan, it’s all over now, baby blue.
Non c’è voluto molto perché la realtà tornasse a imporsi, ricordandoci con la sua abituale ruvidezza che il debito pubblico italiano resta a livelli pericolosissimi, che le tasse sono insopportabili (per chi le paga) e che, finalmente, nell’arco di dodici anni, il reddito degli italiani non è cresciuto di un euro a differenza, abissale differenza, di quello degli altri europei. Dai ‘conti pubblici in sicurezza’ siamo passati ai curiosi pezzi sul Sole 24 Ore del professor Fortis, la cui vicinanza a Tremonti è nota, in cui si fanno estemporanee osservazioni sull’abbondanza della ricchezza privata delle famiglia italiane a fronte del debito pubblico; e se poi alcuni vedono simili argomenti come il primo tassello per l’introduzione di nuove tasse sul patrimonio, cosa volte farci, non l’ha mica detto lui. Torna in mente, di nuovo, la canzone di Bob Dylan: whatever you wish to keep, you better grab it fast (acchiappa alla svelta quello che ti vuoi tenere).
Ma il libro va al di là della facile ironia sulla prematura fine delle doti veggenti dell’Oscuro Signore (oscuro nel senso che è spesso difficile capire quello quello che dice; e non perché dice cose profonde, ma semplicemente perché la prosopopea serve solo a nascondere il fatto che non dice niente). Le bugie e le oscurità vanno smontate con i dati alla mano, e questo è quello che si continua a fare in questa nuova edizione del libro.
Si comincia osservando che l’Italia, nell’ultimo decennio, ha avuto una crescita negativa del PIL reale pro-capite, un -3 percento cumulato dal 2000 al 2010. E’ l’unico paese avanzato a esibire un numero negativo, con buona pace di chi diceva che abbiamo fatto meglio degli altri. Come già osservato, questo della mancata crescita italiana è un problema di lungo periodo ma è stato sicuramente aggravato dalla crisi degli ultimi due anni (durante la crisi infatti il Pil italiano è calato assai più nettamente di quello tedesco, francese, spagnolo e americano), e dalle politiche degli ultimi nove, durante sette dei quali Voltremont ha governato.
Si continua ristabilendo un minimo di verità su deficit e debito pubblico. In una performance degna del teatro dell’assurdo, il buon Voltremont dichiarò nell’aprile 2010 di aver preso visione di tabelle del FMI che “ci vedono messi sul debito pubblico insieme, a fianco della Germania e molto meglio di tanti altri grandi Paesi, Stati Uniti compresi”. Incredibilmente (o forse no, visto lo stato dell’informazione economica in Italia) anziché essere sbeffeggiato per aver detto una simile sciocchezza il ministro si beccò la consueta scarica di lodi. La verità, evidente se si guardano i numeri veri, non le tabelle oniriche di Voltremont, è che in Italia la dinamica del deficit e del debito pubblico assomiglia assai di più a quella della Grecia che a quella della Germania. Non solo, si osserva anche chiaramente che la presenza del nostro ministro in via XX settembre ha solitamente coinciso con peggioramenti dell’avanzo primario di bilancio, la variabile chiave per la sostenibilità del debito nel lungo periodo.
E si ristabilisce anche la verità sulla performance del mercato del lavoro in Italia. E’ vero che la disoccupazione non è andata alle stelle, ma in buona misura la ragione è che tanta gente ha smesso di cercar lavoro. Insieme al fatto che parte della disoccupazione è occultata dalla cassa integrazione, questo ha fornito un’immagine distorta della realtà. La verità è che quando si guarda alla percentuale di persone effettivamente occupate (il tasso di occupazione), che è quello che veramente conta, la verità diventa immediatamente evidente. Come ha recentemente mostrato l’Istat, in Europa solo Ungheria e Malta fanno peggio dell’Italia. In particolare, la situazione dell’occupazione femminile in Italia resta semplicemente drammatica. Solo 46 donne, in età lavorativa, su 100 lavorano, contro una media europea di 59 su 100 (e per pudore evitiamo di riportare i dati di Germania e Regno Unito, o dei paesi scandinavi). Quando non è Voltremont è uno dei suoi compagni (Brunetta e Sacconi: tutti reduci del Psi craxiano) a spiegarci che questo è il migliore dei welfare possibili, con le donne a curare amorevolmente la casa e a fare il ragù che tanto piace a marito e figli.
Quando ci manca la battuta ci pensa Giulio Tremonti a divertire il lettore: la cosa più umoristica consiste nel rileggere alcune sue dichiarazioni dopo che il velo della prosopopea è avaporato, rivelando in tutta la sua stoltezza la supercazzola soggiacente. Si ride a crepapelle. Magra consolazione, lo sappiamo, a fronte delle lacrime amare che le sue politiche fanno versare agli italiani che lavorano, ma in tempi come questi anche due risate ben informate aiutano a tenere la mente lucida e fresca.
(pubblicato su Il Fatto Quotidiano del 18 febbraio 2011)