La corsa all’oro delle banche italiane

Sul Financial Times compare oggi una notizia che, se confermata, darebbe la misura della disperazione in cui si trovano le banche italiane ed i loro azionisti, segnatamente le fondazioni.

Pare infatti, secondo quanto riporta Ft, che le nostre banche stiano facendo pressione per poter iscrivere a bilancio le quote di Banca d’Italia da esse detenute ad un valore che rifletta la valorizzazione a prezzi di mercato (mark-to-market) dell’oro detenuto dalla nostra banca centrale.

Il capitale di Bankitalia ha attualmente un valore nominale di soli 156.000 euro, suddivisi in 300.000 azioni distribuite tra banche commerciali e casse di risparmio secondo la loro dimensione, retaggio dell’antica proprietà.
Considerando la crescita nei prezzi dell’oro, la Banca d’Italia oggi potrebbe avere un valore di circa 30 miliardi, che è pari all’incirca alle esigenze di ricapitalizzazione del sistema creditizio italiano per adeguarsi a Basilea III.

Giova ricordare che, contrariamente ai granitici convincimenti dei signoraggisti, le banche italiane sono formalmente azioniste della Banca d’Italia, ma non possono influenzarne le decisioni gestionali. Superfluo pure ricordare che ogni decisione di questo tipo finirebbe col limitare l’autonomia della nostra banca centrale, che già nel recente passato è riuscita a mandare a stendere Giulio Tremonti, su una operazione relativamente simile (“oro al popolo”). E peraltro, ricorrere al mark-to-market, che per definizione non genera flussi di cassa, produrrebbe solo l’illusione contabile di un rafforzamento patrimoniale.

Nel 2005 il governo Berlusconi aveva avviato le procedure per il riacquisto, da parte del Tesoro, delle quote di Bankitalia detenute dalle banche commerciali, ma l’operazione si era da subito arenata a causa della forte onerosità che tale operazione avrebbe determinato, data anche la forte disomogeneità con la quale le banche hanno iscritto a bilancio l’ingombrante partecipazione.

Con il recente decreto Milleproroghe il governo ha concesso un aiutino alle banche, consentendo di iscrivere all’attivo patrimoniale alcuni crediti d’imposta. Espedienti considerati irrilevanti dal mercato e da Basilea III. La situazione è problematica: le fondazioni, maggiori azioniste del sistema bancario italiano, sono in crescente difficoltà a reperire fondi da destinare a ricapitalizzazione. Il sistema creditizio italiano, nel suo assetto attuale, appare destinato a vivere momenti non facili, nei prossimi anni.

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