Going For No Growth

Mentre a Roma si discute di processi brevi, amnistie manco troppo camuffate e ricostituzione del glorioso partito fascista, l’Ocse (quello del boom senza precedenti), getta la maschera e si rivela l’ennesima quinta colonna del gomblotto comunista contro i liberioti d’Italia:

Il prodotto interno lordo pro-capite e la produttività in Italia “hanno continuato a registrare un calo rispetto alla metà superiore dei Paesi Ocse” e nel quinquennio 2004-2009 c’è stata una diminuzione media annua del Pil pro-capite di 0,2 punti; in dieci anni invece, dal 1999 al 2009, la crescita media annua è stata di mezzo punto. Scrive la sopracitata Ocse, con riferimento all’Italia, nel Rapporto ‘Going for Growth‘ nel quale rileva che per il Paese “sono necessarie ulteriori riforme”.

Sempre secondo l’Ocse, il peso del fisco in Italia sul costo del lavoro e sulle società resta ancora “alto” e un “danno” è anche la bassa adesione dei contribuenti agli adempimenti fiscali. Il bonus produttività introdotto nel 2009 “sembra aver fatto poco per ridurre il complessivo cuneo fiscale sul lavoro”. Lo scudo fiscale degli anni scorsi ha poi garantito “entrate una tantum” ma allo stesso tempo “ha dato motivazioni ambigue – così li definisce il Rapporto dell’Ocse – nella propensione alla fedeltà fiscale”.

Tra le “raccomandazioni” dell’Ocse all’Italia sul fronte fiscale “la riduzione del peso sul lavoro e il capitale” e “lo spostamento del peso fiscale sulla proprietà e sui consumi”. L’Organizzazione invita anche alla “semplificazione” del sistema e all’eliminazione delle molte agevolazioni (le cosiddette tax expenditures) per aiutare la tax compliance, ovvero l’adesione ai propri doveri di contribuente.

Ma la prova provata che l’Ocse è caduta in mano ai comunisti la si coglie nelle raccomandazioni relative al nostro paese, con una richiesta all’Autorità per la Concorrenza di “valutare il grado di competitività nei media tv”, perché in Italia “il settore televisivo resta dominato da società statali e da una società privata”. Ma va?

L’Organizzazione di Parigi ritiene ancora “alta” in Italia la presenza dello Stato in alcuni settori, con conseguente riduzione della concorrenza. “Gli interessi dei consumatori – rileva – non sono sempre la priorità nelle politiche sulla concorrenza”. Sulle liberalizzazioni l’Ocse registra dei ritardi in Italia e raccomanda ”la piena attuazione e l’estensione del decreto Bersani del 2006”. In effetti, gli interessi dei consumatori non sono sempre la priorità, confermiamo.

Si attendono a breve vibrate confutazioni da parte delle prestigiose foglie di fico che scrivono sui giornali di Famiglia, con la maiuscola.

Piccola nota a margine: oggi Moody’s, nel confermare il nostro rating ed escludere per il momento il rischio di contagio, scrive che l’Italia, nei prossimi tre-quattro anni, “può tornare a generare un surplus primario, il passo è vicino e non ci sono cambiamenti brutali da fare”, ritenendo che il governo dovrebbe essere in grado almeno di stabilizzare se non ridurre il debito pubblico, “anche in uno scenario prudente che ipotizza saldi primari non molto alti (tra l’1 ed il 2 per cento) e una crescita economica moderata (al massimo del 3 per cento)”. Non sappiamo cosa fumino abitualmente gli analisti di Moody’s, ma se l’Italia conseguisse tassi di crescita del Pil “al massimo del 3 per cento”, non avremmo più alcun problema, visto che il nostro tasso di crescita potenziale di Pil è intorno all’1 per cento. Sfortunatamente, quando il costo del debito eccede il tasso di crescita del Pil nominale (il caso italiano, da molti anni), il rapporto debito-Pil si autoalimenta, ed occorrono quindi saldi primari sempre più ampi, che da noi si conseguono non tagliando le spese ma alzando la pressione fiscale. Proprio oggi che la Bce ha alzato il costo del denaro, dannazione.

Siamo stabilizzati, ma il Pil pro capite è in un trend di ripiegamento ormai visibile e consolidato. Eviteremo (forse) il contagio, ma non il declino. Ottime notizie per alcuni blogger urlatori dalla scarsa fantasia (almeno nello scegliersi il nome), che giorni addietro hanno stappato una bottiglia di quello buono alla notizia che il nostro rapporto deficit-Pil lo scorso anno è stato di “solo” il 4,5 per cento. Chi si accontenta, gode. Quindi, con la valutazione odierna di Moody’s cominceremo a sentire i gemiti.

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