Meno risparmi, più analfabeti

Come rileva Istat, nel 2010 la propensione al risparmio delle famiglie si è attestata al 12,1 per cento, registrando una diminuzione di 1,3 punti percentuali rispetto all’anno precedente. Sempre nell’ultimo trimestre del 2010 il potere di acquisto delle famiglie (il reddito disponibile delle famiglie in termini reali, cioè al netto dell’inflazione) è aumentato dello 0,8 per cento rispetto al trimestre precedente, tornando sui livelli registrati alla fine del 2009. Ciononostante, nel complesso del 2010 le famiglie hanno subito una riduzione del loro potere d’acquisto dello 0,6 per cento; nel 2009 la perdita di potere d’acquisto era stata molto più elevata e pari al 3,1 per cento.

In soldoni, questo vuol dire che le famiglie italiane stanno subendo una progressiva erosione della loro capacità di risparmio. Le asfittiche condizioni del mercato del lavoro e l’aumento dell’inflazione stanno lentamente spingendo gli italiani ad attingere allo stock di risparmi. Perdurando questa tendenza, anche la fiaba del popolo risparmioso che riesce a sottoscrivere col sorriso sulle labbra il debito pubblico (che già oggi è solo propaganda, visto che il debito in mano ai residenti è solo il 50 per cento circa del totale) giungerà alla sua naturale pagina finale, e non è previsto lieto fine.

Il ministro del Lavoro e dei sondini, l’ineffabile Maurizio Sacconi, ha commentato il dato parlando di famiglie “che faticano a leggere la tendenza al miglioramento”. La frase, fortunatamente per Sacconi, è sufficientemente ambigua da non prestarsi a lettura univoca. I malpensanti come noi ci leggerebbero ad esempio un rimprovero agli italiani, rei di non riuscire a capire che ne stiamo uscendo meglio di altri, e di continuare a somatizzare. Altri, meno malevoli, la leggerebbero forse come presa d’atto che i problemi esistono e persistono.

Come che sia, e premesso che gli italiani “non riescono a leggere” (forse perché sistematicamente rincoglioniti dalle buone notizie che vengono loro rovesciate addosso dai minzomedia), oggi il Sole 24 Ore getta il cuore oltre l’ostacolo, pur se dalle retrovie di un boxino a pagina 12, e sostiene che parte di questa fatica debba essere ascritta al governo, “apparso solido nella difesa della stabilità dei conti pubblici, ma poco dinamico sul versante della crescita. Gli italiani sembrano averlo capito”. Una vera prova di temerarietà, questa dell’organo confindustriale. Speriamo di non dover leggere una dichiarazione della sciura Emma in cui si sostiene che non è del governo italiano che il commento parla.

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