Macromonitor – 17/4/2011

Due anni di rialzi di mercato azionario vengono sfidati dall’accumulazione di elementi di negatività, quali riduzioni delle stime di crescita per gli Stati Uniti, inflazione in aumento, e voci sempre più ricorrenti di ristrutturazione del debito greco. Malgrado ciò, azioni globali e materie prime distano solo il 3 per cento dal picco ciclico.

Tra le potenziali aree di negatività per l’economia, i dati sulle interruzioni della catena di fornitura globale a causa del sisma giapponese stanno per ora mostrando un impatto minore di quanto inizialmente temuto, almeno a giudicare dai primi dati disponibili, che sono tuttavia limitati al mese di marzo. L’attività economia statunitense mostra per contro da circa un mese dati macro inferiori alle aspettative, che hanno già prodotto revisioni al ribasso della crescita del secondo trimestre. Altre minacce al rialzo azionario includono le voci di ristrutturazione del debito greco, le dispute sulla necessità di alzare il tetto del debito federale statunitense e la crescente inflazione dei paesi emergenti.

Sul mercato del reddito fisso, i titoli di stato hanno interrotto una serie negativa che durava da tre settimane. Dati meno sfavorevoli delle attese sull’inflazione britannica hanno fornito una spinta ai Gilt, eliminando le attese di un rialzo dei tassi a maggio. I periferici dell’area euro hanno sottoperformato sulla scorta di voci, alimentate in parte da due ministri tedeschi, che la Grecia dovrà presto ristrutturare il proprio debito. Spagna e Italia, che erano state isolate dalle turbolenze della periferia, hanno visto in settimana un allargamento dei differenziali contro Bund, e si accingono ad un periodo di pesanti aste di titoli di stato.

Sui mercati azionari, dopo un mese di costanti ridimensionamenti delle stime globali di Pil, alcune case d’investimento stanno cominciando a rivedere al ribasso anche le previsioni di crescita degli utili, messi a rischio soprattutto dai prezzi del petrolio. Ciò suggerisce riduzioni nell’esposizione ai ciclici rispetto ai difensivi, già confermate dalla riduzione del rapporto tra nuovi ordini e scorte evidenziata dagli indici dei direttori acquisti di imprese manifatturiere.

Sul mercato dei cambi, dopo aver fatto segnare a marzo il nuovo minimo storico assoluto contro yen e ad inizio aprile contro dollaro australiano, il dollaro statunitense ha toccato in settimana nuovi minimi contro il franco svizzero ed il dollaro di Singapore. Questa progressiva “estremizzazione” ribassista del dollaro accresce la possibilità di un suo violento rimbalzo, se e quando si verificasse un miglioramento dei suoi fondamentali, che ruotano attorno al problema del risanamento del bilancio federale, che al momento appare difficile da risolvere in modo durevolmente positivo per il dollaro, sul quale esiste anche un grado di leva finanziaria piuttosto elevato. In condizioni normali, date queste premesse, con dati macro e previsioni di utili in ridimensionamento, ci si attenderebbe un rafforzamento del dollaro, a seguito di riduzione del leverage. Il dibattito sul bilancio federale, invece, finora ha portato a vendite di dollari contro tutte le maggiori divise quando i mercati sono stabili, e contro euro e franco svizzero quando i mercati appaiono stressati. Il mese prossimo il Congresso affronterà il bilancio 2012 da posizioni partisan apparentemente irriconciliabili. In caso di stallo è prevedibile un calo del dollaro con alta volatilità, a causa di deflusso di capitali. Un accordo determinerebbe un calo del dollaro con bassa volatilità, garantendo bassi tassi d’interesse in un periodo pluriennale di stretta fiscale senza precedenti.

Le materie prime ripiegano in settimana di circa il 3 per cento in dollari, guidate dal ribasso del greggio. L’uscita dei raffinatori dal periodo di manutenzione ciclica è però destinato a sostenere la domanda di petrolio. Molto dipenderà dalla reazione dell’Opec alla perdita di produzione libica, con aumenti compensativi che al momento non ci sono stati. Anzi, le autorità saudite parlano di primi segni di distruzione della domanda, circostanza che potrebbe evitare aumenti di produzione. L’oro continua a segnare nuovi record in dollari, con il nuovo massimo storico in termini nominali di 1476 dollari l’oncia. La crescita delle aspettative inflazionistiche sembra non essere più confinata al breve termine, dopo che il breakeven inflation rate sul titolo statunitense decennale ha toccato in settimana il livello più elevato dal 2006.

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