Sull’operazione Parmalat per il ministro dell’Economia il bilancio non è negativo. “Li abbiamo costretti a un’Opa totalitaria senza colpo ferire: già questo è un risultato concreto”, ha affermato Giulio Tremonti parlando dell’Opa di Lactalis in un incontro con la stampa al termine dell’assemblea annuale della Consob.
Per Tremonti,
“Aver trasformato un’operazione con un forte carattere di singolarità, per usare un eufemismo, in operazione di mercato è già di per sé un risultato positivo. Con niente, con solo l’effetto annuncio, si fa un’operazione di mercato e nel mercato invece che un’operazione fuori mercato”
D’altra parte il ministro ha indicato che “l’ordine del problema è più ampio. Ci ha fatto piacere vedere che anche in altre sedi si comincia a considerare il tema delle dimensioni”
Un attimo. Nel caso di specie abbiamo una normativa italiana che prevede che, rimanendo al di sotto del 30 per cento di capitale, non sia necessario lanciare un’Opa. E’ la legge italiana, ministro. Se Parmalat è una public company, e di conseguenza è possibile acquisirne il controllo restando sotto la soglia legale di Opa, cioè realizzare una operazione di mercato e nel mercato, di che stiamo parlando?
E che proporrebbe, l’ottimo Tremonti? Una interpretazione autentica del potere politico caso per caso, come in ogni repubblica delle banane che si rispetti? Piuttosto, se il ministro è una specie di Robin Hood dei piccoli risparmiatori ed ama così tanto le entrate a gamba tesa sulle regole del gioco, tenga presente che i tre fondi attivisti hanno venduto a Lactalis a 2,80 euro ad azione, mentre l’Opa totalitaria sarà a 2,60 euro ad azione.
Non dovrebbe neppure essere difficile, per Tremonti, visto che il cda di Parmalat ha richiesto una fairness opinion sul prezzo dell’Opa ad un prestigioso collegio di consulenti, tra i quali figura Goldman Sachs, il cui advisor per l’Italia è Enrico Vitali, avvocato e tributarista legatissimo a Tremonti di cui è stato a lungo socio nello studio Tremonti, Vitali, Romagnoli, Piccardi. Vitali, tra l’altro fa parte di un comitato di nomina governativa per lo sviluppo e la tutela all’estero degli interessi nazionali. Chi meglio di lui, quindi, per decidere che l’Opa va lanciata a 2,80? Se le cose andassero in questi termini e Lactalis rifiutasse di ottemperare alla richiesta di Enrico Bondi, saremmo di fronte ad una esemplare fattispecie di Opa ostile, che tuttavia mal si concilierebbe con quanto affermato giorni addietro dal premier.
Grande è la confusione sotto il cielo della politica, come direbbe Mitraglia Mentana. E il mercato può attendere. A proposito di confusione, chiediamo lumi ai lettori con competenze specialistiche sulla materia. Questa mattina, durante l’assemblea Consob, il presidente Giuseppe Vegas ha elaborato tra gli altri questi criptici concetti:
«Da sempre la legislazione italiana ha fortemente privilegiato la contendibilità, limitando le possibilità di difesa delle società a fronte di scalate ostili. L’effetto indesiderato è stato quello di accentuare la chiusura degli assetti proprietari delle imprese»
A noi questa frase risulta incomprensibile. Le catene di controllo, altrimenti note come scatole cinesi, sono il simbolo di un capitalismo di debito, quello italiano. E sono anteriori ad ogni legislazione sull’Opa. Peraltro, lo stesso Vegas, appena insediato alla guida di Consob, aveva stoppato i francesi di Groupama, imponendo loro di lanciare un’Opa a cascata su Premafin e Fonsai. Quello che è accaduto a seguito di quel meritorio niet è noto: il gruppo Ligresti nei guai (parlando di catene di comando), arrivo di Unicredito come cavaliere bianco e richiesta della banca guidata da Federico Ghizzoni di essere esentato dall’obbligo di Opa per il salvataggio di Fonsai. Due pesi e due misure? Il primato della politica del suk, come al solito?