Oggi, sulla “stampa amica” del premier, riaffiora l’ennesima riproposizione di un tema che abbiamo sentito più e più volte negli ultimi quindici anni: le primarie del Pdl.
Già ieri sera Mario Sechi in televisione aveva ipotizzato lo spostamento della cara salma del Grande Leader allo strapuntino di padre nobile del partito, sostituito a Palazzo Chigi da un prestanome, verosimilmente unto dal Signore. Oggi il concetto viene rilanciato in un editoriale sul Tempo. Ma la grancassa più rumorosa, in questa direzione, è quella del Foglio il cui direttore, come noto, da quasi un ventennio si è assunto l’intermittente ruolo di consigliere spirituale del premier. Oggi sul giornale di Ferrara compare una bozza di regolamento di elezioni primarie per tutte le cariche interne al partito, evidentemente strappata all’oblio ed attualizzata persino con una data di svolgimento del lavacro democratico.
Si tratta delle stesse proposte lette, sentite ed ascoltate all’indomani di ogni sconfitta elettorale di Berlusconi, dal 1996 ad oggi, a conferma del fatto che il paese è immerso in una cupa formalina, quella stessa che nei giorni scorsi ha rivitalizzato i lanci di agenzia di personaggi che pensavamo consegnati alla pattumiera della storia politica di questo paese, come (ma non solo) Oliviero Diliberto. Ma non divaghiamo.
Sechi e Ferrara dovrebbero però almeno spiegare cosa è cambiato, oggi, rispetto alle precedenti proposte di democratizzare la selezione del personale politico del giocattolo di marketing berlusconiano. Salvo il drammatico sbarellamento comportamentale del leader, che è tuttavia decisivo per l’esito finale (l’accantonamento della proposta), in effetti è cambiato ben poco: il paese è incastonato nell’ambra, si dibatte furiosamente di coppie gay e di “narrative” di vendoliano copyright, così sinistramente simili ai pacchi rifilati dal berlusconismo ai cittadini nell’ultimo ventennio. Nel frattempo, è in atto un lento ed apparentemente inesorabile declino, testimoniato da ogni serie storica di dati macroeconomici disponibile, a cui si risponde da un lato con un’azione di disinformazione accademico-propagandistica che nega la realtà in un modo grottesco, come neppure in autocrazie terzomondiste dal limitato tasso di alfabetizzazione; dall’altro con l’abituale fiaba della redistribuzione come panacea dei mali del mondo, in un’ottuso conservatorismo che continua a ripetere se stesso.
L’arrivo al potere di presunti outsider in città importanti e simboliche come Milano e Napoli ha scatenato antichi riflessi condizionati e logori simbolismi “liberatori”, peraltro già visti nel 1996 e nel 2001. Questa volta saremo più fortunati? Vedremo cambiamenti che spingano la crescita, l’unico parametro che la classe politica dovrebbe avere a cuore, quello che serve per essere liberi e progettare l’avvenire, con buona pace della retorica di decrescita con cui parte della sinistra si balocca? Non vorremmo essere pessimisti, ma abbiamo il robusto timore che anche questa volta il risveglio sarà ruvido, anche se non smetteremo mai di sperare di sbagliarci.
Ultimo riferimento a Fli, oggetto misterioso che ieri ha gioito per l’esito elettorale con il suo leader, Gianfranco Fini. Legittimo compiacimento, per chi pare avere colto per primo (pur se comunque in ritardo epocale) la natura cialtrona e maligna del berlusconismo. Purtroppo, nessun premio elettorale per questa tardiva resipiscenza, mentre l’elettorato cosiddetto moderato continua a chiedersi che cosa sia esattamente questa bizzarra entità che accoglie al proprio interno personaggi che hanno studiato con profitto all’Actor’s Studio della sinistra, riproducendone tic e slogan, e fanno propaganda per quattro si ai referendum, dopo la buffonata del fasciocomunismo di Latina, che tuttavia forse esprime l’intima essenza di un partito confuso ed in cerca di autore, una volta che le note dell’inno di Mameli sono cessate. Eppure, basterebbe l’antica regola: tra l’originale sinistro e la raffazzonata imitazione destra voi che scegliereste, per cucirvi le pezze al culo?