Trova le differenze. Scriveva Marco Fortis sul Sole, lo scorso 8 dicembre, riguardo la quota di debito pubblico italiano detenuta da non residenti, nel tentativo di spiegare al colto ed all’inclita quanto bene eravamo messi, titolo incluso:
«Il vero tallone d’Achille dei paesi dell’Euroarea in questo momento non è tanto il debito pubblico complessivo ma quello estero, che è in balia degli umori dei mercati e sotto il tiro della speculazione. Pochi forse sanno che a fine giugno 2010 il debito pubblico estero italiano era di 837 miliardi di euro, inferiore a quello della Germania (978 miliardi) e della Francia (1.037 miliardi). La domanda vera allora è: nel caso limite (e sottolineiamo limite più volte) in cui gli investitori stranieri non sottoscrivessero più il debito pubblico estero, i paesi dell’Euroarea possiedono le risorse finanziarie interne sufficienti per far fronte a una simile eventualità?
(…) L’Italia ha oggi il più basso rapporto tra debito pubblico estero e ricchezza finanziaria netta delle famiglie, migliore di quello della stessa Germania. Il nostro paese, nell’interesse di tutti gli italiani, farebbe bene a dare ampia risonanza di ciò ai mercati perché forse tanti investitori (e speculatori) non ne sono consapevoli»
Che differenza possono fare otto mesi!
Oggi, invece, il nostro eroe scrive, sempre in un editoriale sul Sole:
«Probabilmente se questa estate il nostro debito pubblico fosse già stato di 200 miliardi inferiore e il rapporto con il Pil al 106 per cento (cioè come prima della crisi), l’Italia sarebbe stata attaccata comunque sui mercati, essendo tra i grandi paesi avanzati quello ad avere contemporaneamente il più elevato debito pubblico e una forte quota dello stesso in mani estere»
Quindi, per chi si fosse distratto: eravamo i più fichi del bigoncio perché avevamo poco debito pubblico in mano a non residenti (dicembre), però siamo stati attaccati perché abbiamo “una forte quota” di debito pubblico in mani estere. Ovviamente, a dicembre Fortis giocava con i valori nominali, che sono la sua vera passione, e batteva felice le manine dopo aver scoperto che l’ammontare di nostro debito in mano ai foresti era minore di quello della Germania. A quell’epoca, il titolare di questo umile sito scriveva, invece:
«Anche qui, per Fortis siamo a cavallo: ci sono relativamente pochi sottoscrittori non residenti dei nostri titoli di stato. Sono “solo” 837 i miliardi di euro in Btp e Cct acquistati dagli stranieri, contro i 978 miliardi della Germania ed i 1037 della Francia. Abbiamo una notizia per Fortis, non prima di aver premesso che simili comparazioni di solito si fanno in rapporto al Pil e non al valore assoluto dello stock di titoli: quegli 837 miliardi sono pur sempre quasi il 50 per cento dello stock complessivo di debito pubblico italiano. Che accadrebbe se i non residenti si liberassero dei nostri titoli pubblici, o non li rinnovassero alla scadenza?»
Quello che sarebbe accaduto lo stiamo sperimentando in queste settimane. Il paese commissariato, ma pur sempre con un esecutivo ed una maggioranza di magliari che giocano al Dottor Stranamore, tentando di bombardare il paese di tasse “back to the Stone Age“, ed una Bce che compra (fino a quando?) titoli di stato italiani, sostituendosi agli “scioperanti”. E’ di oggi, sui mercati, la notizia di pesanti vendite di titoli di stato italiani da parte di fondi comuni europei, circostanza che ha costretto la Bce a tornare a comprare, sostituendo la propria domanda “artificiale” a quella venuta meno da parte di non residenti. Che accadrebbe, senza questi interventi? E mentre la nostra stampa discetta sulla “stabilità” dello spread decennale tra Italia e Germania, il nostro credit default swap è tornato sui massimi dalla crisi, a conferma della enorme Spada di Damocle sospesa sulle nostre teste. Con il Btp decennale che resta inchiodato al livello del 5 per cento, che è palesemente insostenibile per un paese che rischia una ricaduta in recessione.
Ci restano gli editoriali panglossiani di Fortis, sempre amorevolmente ospitati sulle pagine del più importante quotidiano economico-finanziario italiano. A proposito, c’è mica qualche editorialista del medesimo (chessò, Zingales, Perotti, Masciandaro) che vorrebbe prendere su di sé il compito di smontare queste bislacche tesi, e ridare un minimo di autorevolezza al foglio rosa di Viale dell’Astronomia? Fiduciosi (ma non troppo), attendiamo.