Tra Cernobbio e Mirabello, attendendo Waterloo

Alcune spigolature da una tranquilla crisi economica e di regime, tratte da una annoiata e disgustata lettura della rassegna stampa. Leggiamo ad esempio che Alessandro Profumo, l’uomo che Enrico Letta vedrebbe con piacere nelle liste del Pd, invoca una mega-patrimoniale da 300-400 miliardi di euro, sufficiente solo a portare il rapporto debito-Pil al “confortevole” livello del 90 per cento, e propedeutica ad una enorme riforma della spesa pubblica. Non un concetto che resterà nei libri di storia per originalità, a dire il vero.

Ben più interessanti sono le considerazioni di Profumo sulla condizione delle banche italiane. Per l’ex a.d. di Unicredito, i nostri istituti sono solidi, ma

«Il problema è che hanno prospettive di reddito molto basse, legate alla bassa crescita, ai bassi tassi, a strutture di costo molto elevate. In Italia abbiamo due volte gli sportelli per abitante che ci sono in Germania»

Corretto per la malattia italiana che infetta le banche, una diagnosi piuttosto banale e che avete potuto leggere anche qui, molto tempo addietro. Quanto alla pletora di sportelli, pare che essi non siano frutto di deliberate “scelte strategiche” del top management bancario italiano dell’ultimo decennio bensì che derivino da un attacco alieno all’Italia, con agenzie che proliferavano nottetempo come una neoformazione, e banche che acquisivano allegramente altre reti di sportelli, strapagandoli senza clausola di salvaguardia, al solo fine di iscrivere a bilancio enormi ed inesistenti avviamenti. Il concetto, molto old economy, di “banca sotto casa”, è stato interpretato in modo un po’ troppo letterale dai nostri banchieri, pare. Dei veri geni.

Nel frattempo Mario Baldassarri, economista di Futuro e Libertà, ha scoperto l’ennesima pallottola d’argento: la certificazione dei crediti verso la pubblica amministrazione, per la loro mobilizzazione. In pratica, i creditori della P.A. potrebbero presentare i propri crediti all’incasso presso le banche, per ottenere preziosa liquidità. Baldassarri e gli altri proponenti della iniziativa negano che essa si tradurrebbe in nuovo debito pubblico, ma il problema è altro. Intanto, lo sconto commerciale non è regalato dalle banche, ma ha un costo. Se la cessione è pro-soluto, cioè viene ceduto a titolo definitivo il debitore (lo stato italiano, nel caso specifico) le banche si troverebbero ad avere un enorme aumento di esposizione verso il sovrano Italia. Se si considera che già oggi vi sono banche che stanno riducendo questo rischio, si comprende che l’idea di Baldassarri non andrebbe da nessuna parte. E se la cessione è pro-solvendo, il credito-cerino tornerebbe all’impresa. Dove sta il beneficio, professor Baldassarri?

Ieri Giulio Tremonti si è travestito da Paolo Ferrero, ed ha difeso l’albo pretorio online delle dichiarazioni dei redditi:

«Il problema non è quello di esporre i ricchi al rischio di rapimenti, ma di provare quanta gente è così fintamente povera»

Ma serve una operazione del genere, per “provare” la tesi? Non abbiamo anche in Italia un Leviatano in grado di tutto vedere e tutto perseguire? Dobbiamo necessariamente titillare l’invidia sociale del popolino, inducendolo ad inferenze prive di senso su dichiarazioni dei redditi che non includono vaste tipologie di reddito, come quello di capitale, tassato separatamente e a titolo definitivo? L’iniziativa conferma che Tremonti è solo la pessima copia di Vincenzo Visco, del quale non ha (né mai ha avuto) lo spessore intellettuale, con suo sommo scorno. Per tacere delle considerazioni sulle partite Iva, che oggi Tremonti considera esercito di riserva dell’evasione:

«Ci sono 4 milioni di partite Iva, e non può bastare l’Agenzia delle Entrate o la Guardia di Finanza»

E cosa basterebbe, quindi, magari forme di giustizia sommaria in piazza da parte di concittadini che leggono online le dichiarazioni dei redditi di qualche partita Iva che è altro non è che un lavoratore dipendente precario, incravattato dallo strozzinaggio di qualche azienda che non intende assumerlo? Ma questo è lo stesso Tremonti che intonava peana al “popolo delle partite Iva”, un paio di libri addietro? O è il suo gemello confuso?

Peraltro, demandare ai comuni la pubblicazione online delle dichiarazioni dei redditi potrebbe avere una conseguenza non voluta, in direzione di promuovere una robusta competizione fiscale “al ribasso” tra municipi. Pensate al comune in cerca di soldi e che offre, a chi vorrà insediarsi entro i suoi confini, segretezza sulla pubblicità fiscale. Non male, no? Anche questo sarebbe federalismo, in fondo.

Update – L’opinione del giurista Guido Scorza, esperto di nuove tecnologie di informazione. Coincide con quanto scritto qui sopra.

Update 2 – Manovra licenziata dalla Commissione Bilancio del Senato. Via libera alla pubblicazione delle dichiarazioni dei redditi su internet da parte dei comuni, ma senza nominativi, compariranno solamente per aggregati e categorie. Lo prevede un emendamento governativo. Cassato anche l’inserimento del conto corrente in dichiarazione dei redditi, tanto viene attribuita all’Agenzia delle Entrate la facoltà di verificare i rapporti bancari anche senza preliminare apertura formale di accertamento. E andiamo avanti.

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