Macromonitor – 30/10/2011

Rally dei mercati rischiosi in settimana, dopo le conclusioni del vertice dell’Eurozona giovedì mattina. Lentamente, la presa di coscienza della necessità di intervenire sta affermandosi. Ma servirà altro tempo ed altre misure.

Molto si è detto e scritto circa il fatto che la dichiarazione finale del vertice dell’Eurozona è ricca di vaghe promesse e carente di dettagli operativi, a causa del persistente disaccordo tra i principali attori europei. Le prossime settimane ed i prossimi mesi segnaleranno la distanza tra obiettivi e realtà. Secondo alcuni osservatori, questi vertici segnerebbero “l’inizio della fine” della crisi di debito sovrano, ma il processo richiederà tempo (probabilmente alcuni anni), sarà suscettibile di battute d’arresto e di regressioni, anche importanti, e con elevata probabilità non impedirà la prossima caduta in recessione dell’intera Eurozona, nel momento in cui le banche saranno costrette a ridurre ulteriormente il proprio grado di leva finanziaria e l’austerità morderà ancora di più.

L’esito del vertice europeo, preso isolatamente, non autorizza ottimismo sui mercati rischiosi. Ma vi sono anche situazioni in apparente miglioramento, quale quella statunitense, con dati macro che battono il consenso e che stanno inducendo le case d’investimento a rivedere al rialzo le stime di Pil per il quarto trimestre di quest’anno. Gli indici statunitensi dei direttori acquisti e di fiducia suggeriscono una contrazione prospettica della spesa, ma i consumi mostrano capacità di tenuta, sia pure a scapito di una riduzione del tasso di risparmio e non per crescita organica del reddito. I corrispondenti dati europei segnalano che la recessione potrebbe essere già iniziata. Ma nei paesi emergenti la flessione dell’inflazione sta inducendo un cambio di atteggiamento delle banche centrali in politica monetaria, meno restrittivo.

Sul mercato del reddito fisso, prezzi in calo e rendimenti in rialzo dopo l’esito del vertice europeo. I rendimenti dei governativi statunitensi e tedeschi hanno ripreso quasi metà del terreno perso durante la crisi estiva, molto meno di quanto ci si sarebbe attesi considerando il violento rimbalzo del mercato azionario. Probabilmente questa asimmetria deriva dal fatto che le maggiori banche centrali hanno riaperto il rubinetto della liquidità, ed anche quello di forme di allentamento monetario non convenzionale. Questa circostanza dovrebbe quindi frenare la risalita dei rendimenti.

Gli spread periferici hanno stretto a seguito dell’esito del vertice europeo, ma con la rilevante eccezione dell’Italia. Ci si chiede quanto durevole potrà essere questo miglioramento, soprattutto in prospettiva di probabilità ormai molto elevate di una recessione in Europa che ostacolerà il conseguimento degli obiettivi di bilancio pubblico, ed in presenza di quella che appare come una conclamata crisi di debito sovrano che coinvolge l’Italia.

Sul mercato azionario, quarta settimana consecutiva di rialzi per il mercato statunitense, alimentato dall’esito del vertice europeo, ma anche da continue sorprese positive sui dati macro e da una earnings season finora complessivamente migliore delle attese. I due terzi circa delle società dell’indice S&P 500 che hanno finora riportato hanno battuto le attese e le stime di consenso di inizio mese, ed i margini di profitto appaiono in ulteriore espansione rispetto allo scorso anno.

Sul mercato dei crediti, ulteriore restringimento degli spread per High Yield ed Investment Grade statunitensi, soprattutto con i primi che evidenziano nuovi forti influssi di portafoglio. Anche in Europa si sono registrati significativi restringimenti, anche a livello di Credit default swap, verosimilmente per effetto di ricoperture. Le posizioni corte sui prodotti a spread dei mercati emergenti appaiono essere state ridotte dagli investitori globali.

Sul mercato dei cambi, dopo gli annunci europei, la maggiore incognita resta la modalità di ricapitalizzazione delle banche. Un EFSF a leva o delle linee di credito del Fondo Monetario Internazionale sarebbero verosimilmente positive per l’euro, diffondendo il rischio di credito senza ricorrere alla monetizzazione del debito. Più incerto l’effetto sul cambio delle ricapitalizzazioni bancarie, per le molte variabili coinvolte. Da tenere in considerazione il fatto che le banche europee sono molto presenti fuori dall’Eurozona. Quindi il rimpatrio di fondi a seguito di riduzione della leva finanziaria potrebbe impattare significativamente sull’euro, rivalutandolo.

Rally delle materie prime di circa il 4 per cento, in settimana, guidato ancora dai metalli base, con il rame in rialzo di circa il 14 per cento. Gli indicatori di domanda fisica per il rame sono tornati forti, soprattutto in Cina, dove le scorte sono ai minimi pluriennali. I recenti positivi dati statunitensi mostrano che la probabilità di recessione (in quell’area) è molto minore di quanto recentemente prezzato dai metalli di base. Petrolio in rialzo di circa il 4 per cento in settimana, ma con una vistosa divergenza tra i due maggiori benchmark petroliferi: il Brent è rimasto invariato ed il WTI è cresciuto di circa il 7 per cento, a seguito della riduzione delle scorte nel deposito di Cushing, in Oklahoma.

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