Mercati rischiosi ancora in ribasso in settimana, su flussi di notizie chiaramente negativi: fallimento del Supercomitato del Congresso statunitense, ulteriore indebolimento dell’attività economica statunitense e cinese, inasprimento delle pressioni sul debito sovrano in Eurozona e continuo stallo tra i leader europei sulla risoluzione della crisi.
Il completo fallimento del Supercomitato statunitense per la riduzione del deficit federale di 1500 miliardi di dollari in dieci anni, così come deliberato dopo l’aumento del tetto del debito, in agosto, è rivelatore delle profonde divisioni nel Congresso statunitense. Il fallimento richiede tagli compensativi automatici per 1200 miliardi di dollari, a partire dal 2013, e non è un buon viatico per l’eventualità del rinnovo delle misure di stimolo fiscale decise a fine 2010, in scadenza a fine dicembre. Nel complesso, lo stallo aumenta l’incertezza e sembra destinato a causare revisioni al ribasso delle stime di crescita americana per il 2012.
La caduta nell’indice dei direttori acquisti di imprese manifatturiere cinesi, da 51 a 48, è rivelatore di un ampio impatto causato dall’indebolimento della domanda estera e del mercato immobiliare domestico, e crea un rischio ribassista alle previsioni di crescita del Pil. Le condizioni in Eurozona restano negative per i mercati rischiosi. L’euro in settimana è sceso di tre figure contro dollaro, le azioni europee hanno sottoperformato, e tutti i mercati obbligazionari dell’Eurozona hanno registrato variazioni di prezzo negative. I mercati invocano a gran voce un programma di easing quantitativo della Bce e/o l’emissione di eurobond, ma Germania e Bce continuano a sostenere che si tratti di misure inappropriate, forse perché impegnati a risolvere la crisi sia a livello di cause profonde (lo squilibrio dei pagamenti, tra deficit del Sud e surplus del Nord) che della loro manifestazione (continua ascesa dei rendimenti obbligazionari).
Non è solo un problema di spesa pubblica controllata poco e male: mercati del lavoro non competitivi a Sud necessitano di riforme strutturali, che tuttavia richiederanno anni per essere implementate, con il pericolo (che è ormai quasi certezza) che le turbolenze di mercato deprimano la crescita più e molto più rapidamente degli impulsi positivi dati dalle riforme economiche. Sempre che, ovviamente, tali riforme prendano effettivamente vita e non si tratti solo di strette fiscali finalizzate ad un contabile ed inutile pareggio di bilancio. Ad un certo punto sia la Germania che la Bce dovranno prendere atto che il paziente rischia di morire prima che il farmaco consegua l’agognato effetto. E questa presa d’atto avverrà nel momento in cui il contagio toccherà il centro dell’Eurozona, con fuga dei capitali e rendimenti in forte aumento anche per Germania e Olanda. E’ significativo che, questa settimana, tutti i mercati obbligazionari dell’Eurozona abbiano sofferto perdite significative, mentre quelli di paesi europei occidentali dotati di una propria banca centrale abbiano registrato guadagni.
Sul mercato del reddito fisso, la pesante sottoperformance dei Bund in settimana, rispetto a Stati Uniti e Regno Unito, mostra che nessuno è immune dall’eurocrisi. La recessione ormai prossima in Eurozona e l’allontanamento degli investitori internazionali sembrano destinati a causare un ulteriore deterioramento ai mercati del debito sovrano dell’area euro. Alcune case d’investimento prevedono per dicembre un taglio senza precedenti di 50 punti-base da parte della Bce, che determinerà un minimo storico dei rendimenti di mercato monetario. Ma il deterioramento degli spread in area euro dovrebbe causare un ulteriore appiattimento delle curve, peraltro già visibile in modo rilevante su quella italiana. Gli acquisti delle banche centrali resteranno un tema chiave anche per il prossimo anno. Il consenso è che servirà un aumento aggressivo delle dimensioni del bilancio della Bce, per riuscire a contenere la crisi. La prosecuzione di iniziative di espansione monetaria non convenzionale è attesa anche per Fed e Bank of England. Quest’ultima dovrebbe assorbire ampia parte delle nuove emissioni di Gilt.
Sul mercato azionario, sentiment depresso a causa dello stallo politico sui due lati dell’Atlantico. A ciò si aggiungono anche segnali macro non positivi, come il calo degli indicatori di attività manifatturiera per Eurozona e Cina. Lo spostamento di enfasi da inflazione a crescita potrebbe favorire i paesi emergenti su quelli sviluppati, ma ciò è subordinato al contenimento e contrasto della crisi dell’Eurozona, del rallentamento statunitense e soprattutto degli elementi di rischio sistemico che in queste settimane tendono a moltiplicarsi sui mercati finanziari.
I mercati del credito soffrono sotto il peso di una estensione della crisi di liquidità al centro dell’Eurozona, e portano l’indice iTraxx Senior Financials a rompere lo spread di 350 punti-base in settimana, mentre l’indice sovrano dell’Europa Occidentale sta rapidamente avvicinandosi ai 400 punti-base, il doppio del livello di inizio anno.
Sul mercato dei cambi il dollaro si accinge a chiudere il 2011 praticamente invariato in termini ponderati per i flussi commerciali, malgrado il numero di shock prodottisi durante l’anno, che avrebbero postulato invece un suo rafforzamento. Ciò evidenzia le debolezze monetarie e fiscali degli Stati Uniti. Il 2012 si aprirà con alcuni temi di grande rilievo, ed altrettanta rischiosità: l’Europa entrerà in recessione, l’economia globale affronterà la stagnazione ed i policymakers cercheranno di impedire il collasso dell’unione monetaria europea. Una simultanea stretta fiscale in Eurozona, Stati Uniti, Regno Unito è destinata ad aumentare ulteriormente la volatilità; le banche centrali ricorreranno a politiche non convenzionali per compensare tale stretta fiscale. Evitare una crisi sovrana ed una recessione globale dovrebbe essere sufficiente per spingere il dollaro in ribasso, anche in presenza di stagnazione dell’economia globale, anche perché gli investitori sono già lunghi di dollari più di quanto non fossero prima di ogni precedente recessione.
In settimana le materie prime perdono un altro 2 per cento, su timori di rallentamento/recessione globale, e della mancata soluzione dello stallo in Europa e Stati Uniti, oltre che del rallentamento dell’economia cinese, che rappresenta circa il 40 per cento della domanda globale di rame. Riguardo il petrolio, i rischi macroeconomici di rallentamento globale si sommano alla ripresa della produzione libica, più rapida delle attese, ed alla graduale risoluzione di precedenti problemi di offerta del Mare del Nord. A controbilanciare queste pressioni ribassiste, tuttavia, si pongono i costanti rischi geopolitici mediorientali, oltre alla minaccia di azioni di restrizione dell’offerta da parte dell’Opec, in caso le quotazioni dovessero scivolare sotto i 100 dollari al barile.