Il Berlin Consensus e le domande del 2012

Mentre attendiamo la smentita della Cancelleria tedesca a questo cosiddetto scoop del Wall Street Journal, secondo il quale Angela Merkel avrebbe esercitato pressioni sul Quirinale per arrivare alla sostituzione di Silvio Berlusconi, potrebbe essere utile qualche riflessione sulla vicenda, oltre ad alcuni pensieri in ordine sparso sull’imminente, incipiente, minaccioso anno.

Partiamo dalla presunta richiesta della Merkel. Per noi è una non-notizia. Berlusconi era da tempo (da circa un ventennio, ma non sottilizziamo) finito contro il muro dei veti e dei ricatti incrociati che da sempre caratterizza la forma metastatizzata della cosiddetta democrazia ultracorporativa italiana. Solo i gonzi ed i numerosi soggetti rimasti sul suo libro-paga continuavano a vedere in lui il Messia Liberale che ci avrebbe affrancati dal giogo delle caste. In questo, Berlusconi non è mai stato Seconda Repubblica ma, assai banalmente, secondo tempo della Prima Repubblica.

Poi ci sono i vincoli esterni: non è un caso che (per la seconda volta in un ventennio) il sistema politico-sociale italiano, posto di fronte a regole del gioco piuttosto strette si incarta, costringendo in fretta e furia a “sospendere la democrazia” e nominare un bel governo cosiddetto tecnico la cui funzione è quella di prendere decisioni minimizzando le interferenze ed i giochi a somma minore di zero causati delle corporazioni. E come vengono prese, queste decisioni? In funzione di un consensus esterno che, nel nostro caso, è dato dai vincoli della costruzione europea. E qui veniamo al nostro problema attuale: siamo sicuri che i diktat di Merkel e dei tedeschi ci porteranno nella giusta direzione? Siamo davvero di fronte ad una forma di quello che gli anglosassoni definiscono tough love oppure stiamo subendo le imposizioni di un egemone continentale che ha perso la bussola, fraintendendo completamente le radici della crisi? Ecco, questa è la vera domanda da porsi, a nostro umilissimo giudizio.

I tedeschi insistono con la disciplina di bilancio pubblico? Ottimo, anche noi. Ma non è lecito cominciare a dubitare di questa expertise tedesca nel momento in cui è o dovrebbe essere ormai chiaro che la radice della crisi non è fiscale, tranne che nel caso delle reiterate frodi contabili greche? Per quanto tempo l’Eurozona potrà permettersi di avere il responsabile della politica economica tedesca proclamare che occorre che i paesi contrastino il “contagio” tenendo ordine nei propri conti, quando è possibile che un paese abbia i conti in ordine eppure continui ad essere punito dallo sciopero degli investitori globali?

In altri termini: che accadrà la prossima volta che la Cancelleria tedesca deciderà che la propria chiave di lettura della realtà deve essere assunta anche da tutti i propri partner europei, anche se questa lettura è palesemente dumb, come direbbero gli americani? Se questa argomentazione vi pare troppo capziosa, vi riformuliamo la domanda: che accadrà quando sarà del tutto evidente che l’andamento macroeconomico di Francia e Germania è divenuto divergente, malgrado la strettissima interconnessione tra i due paesi, e che la Francia non regge il passo tedesco, dopo aver perso il proprio rating all’occhiello? Che accadrà in caso François Hollande (ma anche lo stesso Sarkozy) varchi la soglia dell’Eliseo e decida di dire a Berlino che la stretta fiscale è troppo violenta e rapida e che serve rallentarla, per evitare un crack continentale? Forse la Cancelleria chiederà la sostituzione di Monsieur le Président de la République?

Quindi, cerchiamo di distinguere: Berlusconi era farsescamente unfit per portare l’Italia fuori dai guai, ma possiamo dire che Merkel e Schaeuble siano fit per dettare le ricette di politica economica di un’area di mezzo miliardo di persone? Lo scopriremo nel 2012. E quanto a Pdl e Lega, dei loro mal di pancia e dei loro diktat ad uso delle tifoserie ottuse, ricordino che siamo e restiamo in una democrazia (si fa per dire) parlamentare: anziché fare la faccia feroce indicando ricette di sicuro successo contro la crisi ed ululando contro il vulnus democratico, tolgano la fiducia a Monti, anziché farne il parafulmine del loro miserabile fallimento. Ma ricordino, in caso avessero gli attributi ed ancora qualche parte anatomica diversa dal cervello sufficientemente dura, che l’alternativa, qui ed ora, è tra un governo Monti ed uno del Fondo Monetario Internazionale. E che il peggio non lo abbiamo ancora visto. Tutto il resto è solo teatrino di un paese di guitti da generazioni.

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