Su Repubblica, Massimo Giannini si interroga sulla spettacolare iniziativa della ormai celeberrima procura di Trani, e sul blitz negli uffici milanesi di Standard & Poor’s, giungendo alla conclusione che queste iniziative sono giusto un filo esorbitanti, e del tutto anomale nel panorama di ogni altra democrazia occidentale. Facciamo progressi.
Giannini inizia bacchettando le agenzie di rating, che troppo spesso “scherzano col fuoco” di risparmi ed investimenti. E già questa considerazione è assai poco chiara. Le agenzie di rating esprimono una opinione su determinati tipologie di investimenti: spetta agli investitori dare credito (letteralmente) a tali opinioni o fregarsene altamente delle medesime. Certo, visto il ruolo che nel corso degli anni è stato assegnato alle agenzie, che sono divenute una sorta di outsourcing dei “compiti a casa” degli investitori, appare del tutto chiaro che sono gli investitori stessi ad avere messo le agenzie su questo Olimpo, da cui poi scagliano i loro fulmini a valle.
Serve quindi “fare i compiti a casa”, ma come? Davvero voi credete che le società di gestione dispongano in house del numero di analisti necessari per coprire tutto il debito che circola per il pianeta? Basterebbe guardare alla realtà italiana, dove in schiacciante maggioranza ci sono gestori di portafoglio onniscienti, che da soli coprono l’universo investibile, con l’ausilio di qualche junior o (finto) senior che tiene i fogli excel e incontra i relationship manager degli emittenti, stilando poi una pensosa relazione su quello che ha ascoltato. Pensate che realtà del genere riuscirebbero a millantare di avere un team di analisti “dedicati” e a non essere sgamate? Siamo seri, su.
Ancor meno comprensibile la definizione che Giannini dà delle agenzie, inchiodate come moderni “Ghino di Tacco”. Ricordando chi era e cosa faceva il brigante di Radicofani che Eugenio Scalfari rese immortale paragonandolo a Bettino Craxi, e partendo dal presupposto che Giannini conosca il significato dei termini che usa, questo ardito paragone implica che le agenzie di rating svolgano attività di blackmail, ricattando gli emittenti di titoli di debito. Per ottenere cosa, egregio Giannini? Non si fermi a mezza strada, completi l’induzione. Chi “taglieggia” chi, e perché? Ottenendo cosa, in cambio? C’è sempre il Bilderberg di mezzo, al solito?
Giannini non specifica, ma si volge ad analizzare l'”anomalia” italiana, l’intervento della magistratura. Le ipotesi di reato sono market abuse, manipolazione del mercato e aggiotaggio informativo. Come si riuscirà a trovare le prove? Mistero. Ma il problema, per Giannini, sono le modalità di acquisizione di elementi informativi a mezzo di azione di polizia giudiziaria: iniziativa “irrituale”, sentenzia. Che poi mette inopinatamente (visto il giornale su cui scrive) pure il carico:
«Ci sarà una ragione, se in nessun’altra democrazia economica dell’Occidente il pur discutibile strapotere delle agenzie di rating non è stato oggetto di inchieste giudiziarie»
Azzardiamo: e se questo derivasse da un altrettanto discutibile “strapotere” della magistratura inquirente, dietro il tradizionale paravento dell’obbligatorietà dell’azione penale a fronte di notitia criminis? Ecco, Giannini potrebbe fare un piccolo sforzo in questa direzione, ma rischierebbe di giungere ad inferenze “problematiche” per la sua testata ed il suo gruppo editoriale. Il golem delle riflessioni sull’azione del pm rischierebbe di sfuggirgli di mano, e portarlo in terra incognita.
E quindi, per non correre tali rischi, Giannini chiude il pezzo in modo melensamente cerchiobottista:
«Per rendere più credibile il giudizio sul merito di credito di uno stato o di una banca non servono blitz della Guardia di Finanza, ma solo una seria e radicale riscrittura delle regole della finanza»
Verissimo, ma se le nostre leggi consentono questa deriva dipietrista dell’attività giudiziaria, forse servono anche riscritture delle regole della magistratura inquirente, in primo luogo del paravento dell’obbligatorietà dell’azione penale. Purtroppo nel paese questo tema era ed è rimasto tabù a causa della presenza di Berlusconi e, più in generale, di una classe politica di impuniti al di sopra della legge. Tutto si tiene, quindi, in un paese anormale come l’Italia. Mettendo in difficoltà con la logica anche prestigiosi commentatori.
Update – Andiamo avanti così, facciamoci del male.