Due horror story greche: il bar-libreria che non ha avuto l’autorizzazione per vendere caffè e quindi deve mandare un cameriere di collegamento dall’altra parte della strada per poter dare seguito alle richieste del cliente; ed il percorso a ostacoli per aprire un sito di e-commerce per vendere (verosimilmente ed auspicabilmente all’estero) olio di oliva e cosmetici da esso derivati.
In quest’ultimo caso i titolari del sito hanno dovuto schiantarsi per raccogliere documenti dall’ufficio delle imposte, camera di commercio, comune, vigili del fuoco e banca. E proprio quest’ultima richiedeva, per processare i pagamenti, che l’intero sito fosse in greco. Quello che ci vuole per esportare, in effetti. L’ufficio di igiene, per contro, ha chiesto ai titolari del sito schermografia ed esami delle feci. Non è dato sapere se, tra i politici greci, ci fosse tal Capezzonopoulos che invocava l’apertura di un’impresa in sette giorni. O Berlusconopoulos e Tremontopoulos che spingevano per mettere nella costituzione greca la possibilità di produrre gli esami delle feci entro un mese dall’apertura dell’attività, per venire incontro anche agli imprenditori con minore transito intestinale.
Superato questo fondamentale ostacolo, i titolari hanno mandato al diavolo la banca (che forse era intenta ad organizzare convegni patinati in cui illustrava i propri servizi), ed hanno utilizzato PayPal. Anche l’autorizzazione per vendere negli Usa, chiesta alla FDA, si è completata molto rapidamente, con istruzioni rapide, essenziali e mirate. Almeno, ora il sito funziona.
Lo capite, ora, perché la Grecia è spacciata e l’Italia non si sente troppo bene?