Pare proprio faccia parte dell’istinto primordiale del politico, quello di studiare ogni mezzo per porre sotto il proprio controllo un settore economico, sfruttandone le debolezze. Quanto sta accadendo intorno al credito in Italia non fa eccezione: il settore, già ridotto a brandelli da una politicizzazione patologica spacciata per filantropia, ora si trova stretto tra il tentativo disperato di recuperare redditività per rispondere sia alle indicazioni dell’EBA che a quelle di Basilea III, e l’imperativo di contenere la feroce erosione dei mezzi propri causata dalla progressione delle sofferenze in un paese che si sta lentamente deindustrializzando. Per tacere dei sontuosi avviamenti pagati sul nulla, i veri nodi dell’insipienza distruttiva del sistema creditizio, che stanno lentamente venendo al pettine.
Da qui l’uso molto “parsimonioso” dei prestiti della Bce ed il sostanziale credit crunch tradizionalmente pro-ciclico applicato ai debitori. Aggiungete la levata d’ingegno del parlamento, con la cancellazione con un tratto di penna delle commissioni sugli affidamenti, che sono parte del prezzo complessivo del credito, e abbiamo un perfetto teatrino in cui di volta in volta politici suadenti o minacciosi utilizzano il ripristino della norma abrogata come arma negoziale per un classico do ut des trovando, dall’altra parte del tavolo, altrettanti politici con le loro medaglie alla distruzione del valore, appuntate sul petto sanguinante di decine di migliaia di poveri peones da sportello.
Non stupisce che il settore bancario venga visto come riserva di caccia della politica, quindi. Né stupisce lo sfoggio di approcci socialisteggianti esibiti anche dai celeberrimi liberali alle vongole di casa nostra. Come ben ci illustra il neo-erede di Angela Merkel, l’avvocato Angelino Alfano, con il suo pentalogo che, in modo molto sincero, ci conferma non solo e non tanto l’analfabetismo economico-finanziario della nostra classe politica, quanto soprattutto la natura irrimediabilmente levantina e a somma minore di zero del discorso pubblico e dell’attività legislativa.
La realtà è che possiamo comprimere lo spread “ufficiale” bombardando il paese di tasse e compiacerci pure per l’operazione ma lo spread “vero” sta altrove, o meglio ovunque, e queste sono prove inconfutabili.