Oggi il consiglio dei ministri spagnolo ha ordinato alle banche del paese di accantonare ulteriori 30 miliardi di euro a copertura delle perdite su crediti, soprattutto immobiliari, che stanno facendo sprofondare il paese nel baratro. Il governo di Mariano Rajoy ha anche disposto una revisione indipendente sui crediti immobiliari, come da richieste dell’Unione europea, per valutare su base realistica il presumibile valore di realizzo di tali prestiti. Si stima che il sistema bancario spagnolo abbia crediti problematici per un valore di 180 miliardi di euro, su un totale di poco superiore ai 300 miliardi. I nuovi accantonamenti porterebbero la copertura di questa voce a circa la metà, 90 miliardi di euro.
Entro fine anno le banche dovranno poi crearsi in house una specie di bad bank autosegregata, cioè un veicolo di asset management a cui trasferire i crediti tossici, mossa preliminare alla loro cessione a stralcio. Ma che accadrà alle banche che non saranno in grado di reggere i maggiori e pesantissimi accantonamenti? Per esse il governo spagnolo ha pronti dei prestiti, basati su emissione di obbligazioni convertibili (contingent convertible bonds, o Cocos), cioè titoli che possono trasformarsi in azioni al verificarsi di determinate situazioni di deterioramento delle condizioni finanziarie del debitore. Qualcosa di simile ai nostri Tremonti bond, recheranno una cedola di ben il 10 per cento che già di suo possiede il potenziale per ammazzare il conto economico delle banche che saranno costrette a ricorrervi.
Gettando lo sguardo un po’ più in là, è agevole intuire che ampie parti del sistema creditizio spagnolo potrebbero finire nazionalizzate, un po’ come accaduto alle banche irlandesi. Il punto è capire se i 30 miliardi di maggiori accantonamenti basteranno (domanda retorica, la risposta è negativa) e che accadrà in caso di insufficienza dei fondi del FROB, il fondo per l'”ordinata ristrutturazione” del sistema bancario spagnolo. Il rischio è che Madrid veda esplodere le proprie metriche di debito, come già accaduto a Dublino.
In quel caso, potremmo assistere ad iniezioni di capitali nelle banche spagnole da parte del fondo salva-stati europeo, o direttamente o per il tramite di un prestito straordinario allo stato spagnolo. A quel punto, il paese seguirebbe Grecia, Irlanda e Portogallo nella lista di quelli posti in assistenza finanziaria sovranazionale, con tutte le conseguenze del caso. Ma è ormai imperativo ripulire lo stato patrimoniale delle banche spagnole, o l’intero sistema si trasformerà in un gigantesco zombie.
Non se ne accorgerà nessuno, tra le torme adoranti del guru di turno, ma la ricapitalizzazione del sistema bancario spagnolo non passa per l’ingresso di nuovi azionisti esteri. Anche a questo giro dovremo quindi rinfoderare l’arma che spara proiettili d’argento (“fate entrare banche estere ed i problemi si risolveranno”) La realtà è sempre maledettamente disfattista, si direbbe.