La siccità finanziaria minaccia la sopravvivenza di Eurolandia

(Post lungo e piuttosto tecnico. Chi non è interessato può sempre ripiegare sulla più eccitante foto di Vasto o sulla formattazione del Pdl)

Mentre la Spagna rischia ogni giorno di più il collasso, e la realtà si incarica di fare giustizia di tutte le chiacchiere dell’italico salotto su chi sta facendo meglio tra noi e Madrid (ma nessuno lo farà notare ai prestigiosi editorialisti i cui scritti suscitano entusiasmo tra le indigene folle), in Eurozona sta affermandosi una tendenza sempre più inquietante, figlia naturale del “prosciugamento” di liquidità di cui da tempo parliamo, e che rappresenta la vera chiave di lettura di questa Apocalisse al rallentatore.

Si discute in queste settimane della creazione di un unico schema di assicurazione dei depositi bancari dell’Eurozona, per fronteggiare i crescenti deflussi di liquidità dai sistemi finanziari dei paesi più vulnerabili. Serve un’assicurazione collettiva e non nazionale perché i singoli sovrani sono a crescente rischio di destabilizzazione, e quello che offrono rischia di essere una promessa che non potrà essere mantenuta. E’ la crisi banco-sovrana all’ennesimo salto di qualità. A che serve sapere che uno stato garantisce i primi 100.000 euro di depositi se quello stesso stato rischia il default? Da qui il fenomeno dei deflussi di depositi, con mezzi più o meno leciti, in un prosciugamento che ha ormai vanificato la riliquefazione indotta dalla Bce con le due aste triennali di dicembre e febbraio. Ma questo fenomeno rappresenta l’ennesima e finora più grave conferma che non esiste un vero “mercato unico” finanziario in Eurozona, e che la tendenza alla rinazionalizzazione dei flussi finanziari rischia di essere la pietra tombale dell’intero edificio, prescindendo dagli squilibri commerciali e di competitività.

Altro elemento di criticità è dato dalla dimensione transnazionale del sistema finanziario, cioè l’operare in paesi dell’Eurozona di controllate bancarie di altri paesi dell’area. Ad esempio, in Grecia i francesi di Crédit Agricole controllano Emporiki, e sono forti dolori, come testimoniato dalla recente assemblea della banca francese. Le controllate locali di banche dell’Eurozona stanno tentando di pareggiare raccolta e impieghi sui mercati locali. Il che ad esempio vuol dire che, a fronte di prestiti erogati ad imprese greche, obiettivo delle controllate di banche estere è quello di raccogliere denaro dai greci, sia sotto forma di depositi che dalla banca centrale greca. In questo modo, se la situazione dovesse precipitare, attivi e passivi locali potrebbero compensarsi.

Immaginate, in caso di uscita di Atene dall’euro, i guai di una banca francese che si trovi ad avere concesso prestiti a residenti greci facendo la raccolta fuori dalla Grecia: l’attivo sarebbe ridenominato in dracme, il passivo resterebbe in euro. Uno scenario da incubo, ma per nulla irrealistico: secondo le statistiche della Banca per i Regolamenti Internazionali, nel quarto trimestre del 2011 le banche francesi avevano prestato a residenti greci ben 20 miliardi di euro in eccesso rispetto a quanto raccolto nel martoriato paese mediterraneo.

Allo stesso modo, i depositanti nei paesi periferici stanno spostando i loro soldi verso le controllate di banche estere nel proprio paese o alle controllate estere di banche domestiche. L’idea è che, ad esempio, il governo tedesco proteggerà i depositi nella controllata spagnola di Deutsche Bank ma anche i depositi accesi nella filiale tedesca del Banco Santander. Ma è proprio così? Le direttive europee in realtà fanno una chiara distinzione tra le sussidiarie (subsidiary) ed i rami (branch) di banche estere. Le prime sono coperte dall’assicurazione sui depositi del paese di stabilimento mentre le seconde sono coperte dal paese di provenienza. Eppure, evidenze aneddotiche segnalano che la Banca centrale greca in questi giorni starebbe negando alle sussidiarie di banche francesi l’accesso al proprio credito attraverso il sistema ELA (Emergency Liquidity Assistance).

Da circa un anno stiamo assistendo al fenomeno dell’allontanamento degli investitori dalla periferia dell’Eurozona. Prima a livello di debito sovrano, ora anche a livello di investimento azionario e in debito privato. Non è un caso che la percentuale di possesso dello stock di debito pubblico da parte di residenti in Spagna ed Italia sia aumentata: le banche nazionali hanno utilizzato i fondi della Bce per comprare titoli di stato, ma così facendo hanno amplificato il profilo di rischio banco-sovrano. Ora, con la fuoriuscita dei depositi, il credit crunch si accentua, anche se molti politici e commentatori analfabeti continuano a ragliare sulla “speculazione delle banche che prendono a prestito dalla Bce e comprano titoli di stato per guadagnare senza rischio”. Certo, come no. Senza contare che il deflusso di depositi accentua gli squilibri in capo al sistema Target 2, mettendo la Germania in posizione creditoria sempre più ampia e sbilanciata.

Quello che sta accadendo può essere descritto in termini molto semplici: corsa agli sportelli e rinazionalizzazione dei flussi finanziari. Che detto così sembra una cosuccia per economisti pedanti, ma in realtà è un fenomeno massimamente distruttivo per l’Eurozona e per i paesi coinvolti. Per immagine speculare, il sistema bancario tedesco scoppia di liquidità, ed il rischio di sviluppo di bolle speculative o di pressioni inflazionistiche in Germania sta crescendo di settimana in settimana. Ma non per merito tedesco, ricordatevelo.

Che conclusione possiamo trarre, da questo fenomeno di rinazionalizzazione dei flussi finanziari nazionali? Che questa dimensione fa ormai premio assoluto sulle problematiche macro di competitività e squilibri commerciali intracomunitari. Anche una applicazione religiosamente fedele dei precetti da libro di testo sulla “svalutazione interna”, cioè una deflazione ottenuta tagliando stipendi e pensioni nel tentativo di recuperare competitività, può poco o nulla di fronte alla fuoriuscita di capitali ed al blocco di funzionamento dei sistemi bancari nazionali, avviluppati in un credit crunch causato da oneri regolatori (EBA, Basilea III) e soprattutto da deflusso di passività bancarie. E queste fuoriuscite proseguiranno finché ci sarà il concreto rischio di defezioni dalla moneta unica.

Il problema risiede in architettura e governance comunitarie, e la dimensione finanziaria è ormai diventata questione di vita o di morte per l’Eurozona. Il dramma è che i politici (e gran parte degli economisti) hanno finora dimostrato di non padroneggiare affatto questa dimensione del problema, preferendo baloccarsi con cospirazionismo e demagogia.

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