Nuove prove documentali che il “più grande imprenditore italiano del Dopoguerra” parla di cose che non conosce. Non che di tali prove ce ne fosse bisogno, ma qui proprio mancano i fondamentali.
«Gli italiani non devono preoccuparsi dello spread perché è la differenza tra quello che deve pagare la Banca d’Italia su titoli di prima emissione e quello che paga la banca tedesca, e non ce ne può importare di meno”. Lo afferma Silvio Berlusconi, nel corso di Uno mattina»
Ovviamente le cose non stanno in questi termini.
In primo luogo, non è la banca centrale quella che paga ma il Tesoro, visto che si tratta di passività di quest’ultimo. Poi, questa distinzione brunettiana tra mercato primario e secondario non ha alcun senso pratico, se non la relativa lentezza con cui un rialzo (o un ribasso) dei rendimenti sul primario si incorpora sul costo complessivo del debito. Questa velocità di incorporazione deriva a sua volta dalla durata media dello stock di debito. Ma un paese come il nostro, in cui ogni anno arrivano a scadenza centinaia di miliardi di titoli pubblici, finisce rapidamente a gambe all’aria, come stavamo tangibilmente apprezzando nella seconda metà del 2011. Se avessimo uno stock di debito con scadenza esclusivamente trentennale, il problema non si porrebbe nell’immediato, ma visto che le cose non stanno in questi termini, di che stiamo parlando?
Solo alcuni piccoli e trascurabili dati, ad uso di Berlusconi e di quanti gli vanno dietro, in malafede o meno. Nel 2013 la Repubblica Italiana dovrà rimborsare debito sovrano per 282 miliardi di euro. Nel 2014 tale importo sarà di 188 miliardi. Nel 2015 avremo scadenze per 181 miliardi. Sono 651 miliardi di capitale in un triennio, più gli interessi. Se guardate il grafico qui sotto potete apprezzare il nostro profilo temporale di rischio sui rifinanziamenti. Abbiamo di fronte a noi un triennio da brivido. Però non temete, ci pensa la Banca d’Italia, giusto?
Questa è solo l’ultima di una ininterrotta serie di assurdità che, se dovessero essere ricondotte “solo” ad una forma grave di analfabetismo economico e finanziario sarebbero già inquietanti, in quanto proferite dal soggetto che ambisce a tornare a “guidare” il paese verso il baratro. L’alternativa (cioè che si tratti di deliberate menzogne) è ancora peggiore, perché ci infligge un gravissimo danno nei consessi internazionali. Che giudizio potranno infatti esprimere dell’Italia gli osservatori internazionali ma anche e soprattutto gli investitori, leggendo le dichiarazioni di un personaggio che afferma che la Bundesbank avrebbe ordinato alla Deutsche Bank ed a tutte le altre banche tedesche di vendere i nostri titoli di stato? Non solo, ma che anche la branch tedesca di una banca italiana avrebbe ricevuto l’ordine mafioso di liberarsi di 250 milioni di nostri titoli di stato (grandezza finalmente quantificata da B.)?
Ora, se una accusa del genere fosse stata formulata da un leader politico considerato credibile, la conseguenza sarebbe stata una gravissima crisi politico-diplomatica con la Germania. Il fatto che l’unica reazione di rilievo sia stata una asettica e svogliata smentita della Bundesbank la dice lunga sulla irrilevanza “esterna” di queste prese di posizione, almeno nel breve termine, visto che il soggetto che le ha proferite si trova attualmente estromesso dal potere. Ma la rilevanza interna e potenziale, per contro, è altissima e gravissima, nella misura in cui un numero elevato di elettori italiani sceglierà il personaggio che tali assurdità diffonde.
Ma resta un vero peccato non disporre in questo paese di una stampa libera, indipendente e minimamente competente, tale da confutare sistematicamente queste assurdità. Suggeriamo alle scuole di giornalismo di trasmettere durante le lezioni la puntata di ieri sera di In Onda. E’ un momento mirabile di come non si dovrebbe fare giornalismo, mai, in alcuna circostanza. A meno di utilizzare un sottopancia fisso, durante la trasmissione, che avverta che non di informazione si tratta, bensì di avanspettacolo. E comunque, resta l’insopprimibile necessità di formare i giornalisti in materie economiche, per non avere solo dei saccenti politologi da salotto. Anche questa è la misura del drammatico spread di cui la nostra democrazia soffre. E neppure questo lo paga la Banca d’Italia, ricordatevelo.
