Spagna, magie di Draghi e finanza pubblica creativa

Come riferisce oggi Bloomberg, lo scorso anno il fondo spagnolo che gestisce la sicurezza sociale ha effettuato un’operazione acrobatica, beneficiando del calo dei rendimenti sul debito sovrano spagnolo a seguito dell’ormai leggendario “whatever it takes” di Mario Draghi. Operazione suggestiva, ma che produce una serie di rischi potenziali piuttosto seri.

Il Fondo de Reserva de la Seguridad Social nel corso del 2012 ha aumentato la propria quota di debito sovrano spagnolo al 97 per cento del proprio attivo, dal 90 per cento di fine 2011, acquistando circa 20 miliardi di euro di Bonos e vendendo 4,6 miliardi di titoli di stato francesi, olandesi e tedeschi. Oltre il 70 per cento di tali acquisti sono avvenuti nella seconda parte dell’anno. Il fondo ha chiuso il 2012 con un patrimonio netto di 63 miliardi di euro, pari al 6 per cento del Pil spagnolo, ed ha conseguito plusvalenze per 3 miliardi di euro.

Al contempo, però, da settembre dello scorso anno il governo Rajoy ha monetizzato 7 miliardi di euro per poter indicizzare le pensioni spagnole al costo della vita e pagare la tredicesima sulle stesse. Il fondo non si trova esattamente in una condizione di equilibrio finanziario, visto che tra le sue funzioni istituzionali vi è anche quella di erogare i sussidi di disoccupazione. A causa della gravità della crisi e del relativo crollo delle contribuzioni, il fondo lo scorso anno ha smesso di registrare surplus ed è andato in rosso, pari all’1 per cento di Pil, contribuendo alla voragine del 10,2 per cento di deficit-Pil con cui la Spagna ha chiuso l’anno.

Con l’aggravarsi della crisi, il fondo ha dovuto fare di necessità virtù, visto che dal 2010 il governo spagnolo ha cessato le contribuzioni. Ecco quindi la decisione, a luglio dello scorso anno, di aumentare al 35 per cento la quota massima investibile in un singolo titolo, e di portare al 12 per cento la quota massima detenibile di debito del Tesoro spagnolo, il cui totale in febbraio era di 634 miliardi di euro. Il che significa che il fondo può ancora effettuare acquisti di debito sovrano spagnolo per circa 13 miliardi. Il tempismo del cambio di statuto e di politica d’investimento è stato davvero fortunato visto che, solo due settimane dopo, Draghi si impegnava solennemente a contrastare il premio al rischio di convertibilità dei partecipanti all’euro, avviando un robusto rally della periferia. A fine anno, il debito sovrano spagnolo si era rivalutato in media del 6 per cento sull’anno precedente, contro guadagni medi del 4,4 per cento per quello tedesco.

Quindi, per riassumere: il Fondo ha beneficiato di plusvalenze verosimilmente teoriche (cioè non realizzate) sui Bonos spagnoli, ed ha preso profitto su posizioni in titoli di stato olandesi, francesi e tedeschi, che avevano visto un crollo dei rendimenti, e quindi robuste plusvalenze da mietere. In tal modo è riuscito in parte a far fronte, in modalità una tantum, agli esborsi decisi dal governo a beneficio dei pensionati. Incidentalmente, per alcune settimane il Fondo è stato una fonte di domanda aggiuntiva per i collocamenti del Tesoro spagnolo, ed ha ancora cartucce da sparare, in caso di necessità. Superfluo ricordare che, con questo grado di concentrazione pressoché esclusiva in Bonos, se qualcosa andasse storto ed i rendimenti cominciassero a risalire, il Fondo sarebbe costretto a liquidare asset in perdita per pagare le prestazioni sociali. Il che sarebbe evidentemente insostenibile, e rischia di esserlo comunque, visto che la disoccupazione è al 26 per cento e non accenna a rientrare.

Cercare di mantenere equilibrio finanziario usando plusvalenze anziché flussi reddituali correnti crea un rischio potenziale molto elevato. Ora Rajoy deve sperare in qualche altro rally dei rendimenti dei Bonos, per continuare a reggere gli impegni di sicurezza sociale. Oppure sarà costretto a tagliare i benefici pensionistici e quelli di disoccupazione, se non vuole vedere il Fondo prosciugarsi alle dimensioni di una pozzanghera entro pochi anni.

Grazie a Draghi ed alla fantasia tipica della finanza, è arrivato un po’ di ossigeno. Ma il rischio di andare ad un rovinoso  all in nella partita a poker con la crisi è nettamente aumentato.

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