Di coperte corte, burro, cannoni e cannoli

Intervistato dal Sole 24 Ore, il neo-presidente della Commissione Lavoro del Senato, Maurizio Sacconi, mette il dito nella piaga della cassa integrazione in deroga, lo strumento che rischia di perpetuare lo stato vegetativo di aziende decotte.

Sostiene Sacconi che, per la cig in deroga,

«Serve tornare al cofinanziamento del sussidio da parte delle Regioni, per assicurarci in questo modo un utilizzo responsabile»

Che, detta così, vuol dire con alta probabilità che le Regioni, già minate da una crisi finanziaria gravissima, poste di fronte al cofinanziamento della cig in deroga finirebbero col gettare la spugna, compiendo l’inevitabile destino dei lavoratori coinvolti. Concetto ribadito da Sacconi nell’intervista, quando afferma che bisogna

«(…) Individuare limiti nell’uso di queste deroghe, non riconoscendole per esempio nei casi di rapporti di lavoro consumati; quindi non più mobilità in deroga»

Il tema è molto delicato ma non eludibile. Esistono aziende che, realisticamente, non riusciranno a tornare a condizioni di fisiologia. Tenerle in vita con la sola finalità di preservare il posto di lavoro rappresenta una evidente distorsione allocativa, specificamente di denaro pubblico. Ciò premesso, occorre anche prendere atto che ammortizzatori sociali vengono prolungati in via straordinaria anche fuori dall’Italia, in questo quadro congiunturale. La differenza è che serve un welfare che sostenga il lavoratore e non il posto di lavoro. Negli Stati Uniti sono ancora in essere, e stanno venendo rimosse solo molto gradualmente, le misure di proroga straordinaria dei sussidi di disoccupazione, cofinanziati da governo federale e stati, ma che per l’appunto tutelano il lavoratore e non il posto di lavoro.

Ma noi italiani siamo ancora alle riflessioni preliminari sul ridisegno del welfare, come noto, e siamo a questo stadio da un quindicennio circa, e l’unica riflessione “strutturata” sinora letta e sentita da queste parti è la provinciale ruminatura della flexicurity danese, che non è esattamente gratis e non a caso avviene in un paese (la Danimarca) in cui lo stato intermedia in spesa pubblica qualcosa come il 59,6 per cento del Pil, con una pressione fiscale del 55,5 per cento. E’ proprio vero che a volte le tasse possono essere bellissime e che è sempre e comunque un problema di utilizzo “comunitario” delle risorse fiscali. O magari è solo questione di calibrare la fiscalità tra consumi, lavoro e capitale, chissà. Siete scandalizzati?

A proposito di welfare e dei soldini necessari a farlo funzionare, oggi sempre sul Sole c’è il risultato di una sfiziosa simulazione di Confindustria: cosa si potrebbe “comprare” con i due miliardi di gettito della rata Imu di giugno? Perché accade che l’economia sia la scienza (sociale) delle risorse scarse e dei tradeoff, cioè della scelta tra burro o cannoni, anche se in Italia la nostra crassa ignoranza in materia la fa diventare, nei permanenti e persistenti programmi elettorali ed elettoralistici, la scienza per ottenere tutto: burro, cannoni e cannoli.

E quindi, cosa possiamo comprare con questi due miliardi della rata Imu di giugno? Tanta roba: come si vede dal boxino a fondo pagina, potremmo assumere a sgravio totale per un biennio ben 177.000 operai di secondo livello in imprese di organico compreso tra 15 e 50 dipendenti, oppure quasi 50.000 impiegati di terzo livello di imprese fino a 50 dipendenti del settore del commercio. Ammesso e forse concesso di ottenere le necessarie autorizzazioni europee ad una iniziativa di questo tipo. In caso si volesse agire su base strutturale, neutralizzando cioè il costo del lavoro ai fini Irap per tutte le imprese, si otterrebbe un risparmio per le stesse pari al 9 per cento. Qui il costo sarebbe maggiore ma non proibitivo, visto che sappiamo che la deducibilità Irap del 70 per cento del costo del lavoro costerebbe 6,5 miliardi di euro.

Ma, proprio come Brunetta, anche Sacconi nei giorni scorsi è riuscito ad arrampicarsi sui vetri a difesa del valore salvifico e moltiplicativo (in senso evangelico) della cancellazione dell’Imu sulla prima casa. Leggere per sbigottire:

«L’Italia può uscire dalla spirale recessiva e dalla diffusa depressione sociale se le istituzioni governanti la spezzano con segnali forti quali la cancellazione dell’Imu ed una significativa correzione della regolazione del lavoro. L’immissione di forte liquidità nelle famiglie e nelle imprese può alimentare la domanda di beni e di investimenti creando occupazione, anche a termine, che una detassazione mirata può incoraggiare a trasformare in contratti a tempo indeterminato»

Pensate, tutto questo ben di dio con duecento euro medi annui di Imu prima casa, realmente una “forte liquidità”. La fiaba continua, non previsto lieto fine.

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