Per la serie “come è andata a finire”, oggi vi raccontiamo che ne è stato della leggendaria “Banca del Mezzogiorno”, la creatura dello statista più incompreso del pianeta e di ogni epoca storica, al secolo Giulio Tremonti.
Ricordate? Vi aiutiamo: serviva un’entità che facesse raccolta ed impieghi a tassi di vantaggio per tutti, depositanti ed affidati; fosse saldamente incardinata a Mezzogiorno, col cuore e con la testa; si dedicasse esclusivamente alle piccole e medie imprese; coinvolgesse e potenziasse il sistema del credito cooperativo, che secondo Giulio Nostro era l’unica realtà in grado di capire le esigenze del territorio laddove le grandi banche, peraltro irrimediabilmente “nordiste”, erano remote e distratte da tali bisogni.
La Banca del Mezzogiorno «è una cosa seria. Troppi bidoni sono stati dati al Sud. Questa cosa la vogliamo fare seriamente e con impegno». Lo ha detto il ministro dell’Economia Giulio Tremonti in occasione della presentazione del Comitato promotore della Banca. Non si tratta dunque di «una cosa metafisica. Deve stare sul territorio dove ci sono le piccole e medie imprese e fare loro credito». Il ministro in ogni caso ritiene che non saranno ripercorsi gli errori del passato: «Impossibile che sia un carrozzone – dice Tremonti – perché non è una banca pubblica. Comunque – rivendica – non c’è mai stato un governo che ha fatto una banca del Sud e la fiscalità di vantaggio per il Sud» – (Ansa, 11 marzo 2010)
Il ministro per l’Economia Giulio Tremonti conferma per domani la prima riunione del Comitato promotore della Banca del Mezzogiorno, parla di «grande successo di adesioni, e conferma che la banca avrà sportelli sul territorio, che saranno quelli della Banca di Credito cooperativo con il logo del nuovo istituto». Tremonti, che ha incontrato gli imprenditori campani nella sede di Confindustria Napoli ha difeso con forza il progetto. «Hanno detto che è uno spot elettorale, ma invece è un’idea che ebbi nel 2004. La banca avrebbe dovuto entrare in funzione nel 2005 ma il governo Prodi la bloccò per due anni. Adesso riprendiamo il progetto». «Quello che conta – ha aggiunto Tremonti – è che molti soci vogliono entrare: dall’industria all’artigianato al commercio, e ci sono anche forze sociali. La lista di richiesta di partecipazione è molto alta». «Penso – ha concluso il ministro per l’Economia – che
questa banca sia la cosa giusta per il Mezzogiorno» – (Ansa, 24 marzo 2010)Il controllo della futura Banca del Mezzogiorno dovrà essere «assolutamente locale». Lo ha detto il ministro dell’Economia Giulio Tremonti a Caserta nel corso di un’ intervista in pubblico con il direttore di Panorama, Giorgio Mulè. Alla domanda ”Dove sarà la testa della futura banca?”, Tremonti ha risposto: «Il controllo deve essere assolutamente locale, il cervello deve essere locale. Questa banca servirà soprattutto a fare piccolo credito per le imprese» – (Ansa, 12 maggio 2011)
Come è andata a finire, quindi?
Cos’è Banca del Mezzogiorno?
Banca del Mezzogiorno è un’iniziativa prevista dalla legge 191 del 23 Dicembre 2009 (art. 2 comma 162 – obiettivi e art. 2 comma 169 – attività esercitabili).
La missione della Banca del Mezzogiorno è sostenere i progetti di sviluppo delle PMI aumentando la disponibilità di credito a medio – lungo termine – (Banca del Mezzogiorno, FAQ)Chi sono gli azionisti di Banca del Mezzogiorno?
Banca del Mezzogiorno è controllata al 100% da Poste Italiane S.p.a. – Società con socio unico, il cui assetto proprietario vede la partecipazione totalitaria del Ministero dell’economia e delle finanze – (Banca del Mezzogiorno, FAQ)La banca c’è, opera regolarmente ma non fa quello che avrebbe dovuto fare, cioè occuparsi del rilancio del Mezzogiorno. «Il Sud d’Italia è l’unica zona d’Europa a non avere una banca propria, è fondamentale averla per stimolare lo sviluppo delle piccole e medie aziende» aveva detto l’ex ministro dell’Economia, Giulio Tremonti, lanciando nel 2010 l’iniziativa. Dalla sua costituzione, avvenuta due anni fa, però la banca, posseduta al 100% dalle Poste, non ha lanciato i cosiddetti Sud-bond, obbligazioni fiscalmente agevolate, destinati a finanziare gli investimenti a medio e lungo termine delle piccole e medie imprese, né ha sostenuto l’industria meridionale preferendo invece dare credito ai grandi gruppi per le attività nel meridione e fare prestiti ai dipendenti delle Poste dietro la cessione del quinto. In complesso nel 2012 ha prestato 161 milioni contro i 300 previsti e ha chiuso con un utile di 7,1 milioni. A confermare il mutamento di rotta è lo stesso governo in risposta ad un’interrogazione alla Camera. Gli obiettivi di crescita originari «si sono poi rivelati difficilmente perseguibili». Si è quindi deciso di puntare su «altre ipotesi di sviluppo operativo: credito ai grandi gruppi industriali nazionali e public utilities per sostenere gli investimenti nel sud e finanziamenti ai dipendenti delle Poste» (Corriere della Sera, 6 giugno 2013)
Eppure, molto prima che questa impresa partisse, qualcuno sapeva già come sarebbe andata a finire:
Allo stato non c’è nulla che suggerisca che l’aumento della raccolta delle banche meridionali possa tradursi in corrispondente aumento degli impieghi. Senza contare che il sistema di garanzie pubbliche su raccolta e finanziamenti della BdM si tradurrà in uno speculare aumento dello stock di debito pubblico, oltre agli elevati rischi (per usare un eufemismo) di attenuazione della due diligence nelle istruttorie di fido. [e infatti nulla di tutto ciò è accaduto, ndPh.]
L’intero impianto del provvedimento sembra reggersi sull’assunto che le banche localizzate sul territorio dispongano di informazioni qualitativamente migliori sui debitori rispetto alle grandi banche “remote” dal territorio, ma non ci risultano esistere dati che suffraghino questa tesi. Potrebbe benissimo darsi che il maggior costo del credito nel Mezzogiorno derivi dai forti deficit infrastrutturali e dall’insufficiente tutela dei diritti di proprietà che da sempre caratterizza quella parte del paese, e non da insufficiente raccolta, dato anche che le banche meridionali non hanno un rapporto tra prestiti e raccolta particolarmente elevato. In quel caso il sistema sarebbe in equilibrio efficiente, e la Banca del Sud non servirebbe a nulla se non a ridurre il tasso di disoccupazione tra i consiglieri di amministrazione. Tacendo, peraltro, dell’ennesima segmentazione della fiscalità sulle attività finanziarie ed ammettendo che ciò, unitamente al ruolo di Poste Italiane nell’intera operazione, riesca a superare l’esame della Commissione Europea, con la quale sarebbe forse più opportuno negoziare la creazione di una No Tax Area, magari barattandola con gli aiuti comunitari per le aree depresse – (Phastidio.net, 19 ottobre 2009)
Che dire? La pattumiera della storia economica italiana continua a restare un luogo terribilmente angusto, per Giulio Tremonti.