Giappone, prova generale di stato confusionale

Pare che il sole picchi forte anche nel paese del Sol Levante, in questo periodo dell’anno. Come commentare altrimenti la “proposta” di uno dei consiglieri economici del premier Shinzo Abe, che suggerisce di contrastare il previsto aumento dell’Iva con un corrispondente aumento di spesa pubblica? In alternativa alla spesa, si richiede che la banca centrale giapponesi intensifichi il suo già folle passo di acquisto di debito pubblico. Che poi, a ben vedere non è una alternativa ma sempre lo stesso corso d’azione, come vedremo tra poco. Abbiamo il crescente sospetto che tutta questa vicenda non finirà bene.

La premessa è che in Giappone è in corso un ampio e sofferto dibattito politico circa la necessità di aumentare l’imposta sulle vendite, dall’attuale 5% all’8% a decorrere dal prossimo anno fiscale, il primo aprile 2014, e raggiungere il 10% nel 2015. Vi sono tuttavia diffusi timori che ciò possa far deragliare l’agognata ripresa e la fuoriuscita del paese dalla deflazione. Tra i più fieri oppositori di questi due gradoni Iva (non è esattamente l’Iva, ma non sottilizziamo) vi è Etsuro Honda, uno dei principali consiglieri economici del premier Abe. Honda preme per rialzi di un punto percentuale annuo, per cinque anni, per dare modo alla ormai celeberrima Abenomics di funzionare e far ripartire la crescita, con fine della deflazione. Honda ed altri poi sottolineano che la ripresa, in corso (pare), dovrebbe per sé condurre ad un miglioramento dei conti pubblici, sia attraverso maggiore gettito d’imposta sia attraverso il risparmio sulla spesa per interessi, visto che la Bank of Japan sta comprandosi la quasi totalità delle emissioni nette di titoli di stato, i cui rendimenti restano molto bassi.

Quindi, suggerisce Honda, se realmente vi fosse l’aumento di tre punti dell’Iva, per un gettito stimato di 8.000 miliardi di yen, servirebbe maggiore spesa pubblica per 8-10.000 miliardi di yen. Sforzatevi di rimanere seri. L’aumento di spesa pubblica dovrebbe cioè andare a neutralizzare l’aumento di imposte indirette, che a sua volta serviva per ridurre l’elevato deficit del paese, che quest’anno dovrebbe sfondare il 10% del Pil. Una demenziale partita di giro, in estrema sintesi.

Ovviamente, il nuovo debito pubblico emesso per finanziare la spesa verrebbe sottoscritto pressoché interamente dalla banca centrale, e vissero tutti felici e contenti. In alternativa, il compito di attutire l’impatto dell’aumento Iva resterebbe in capo alla Bank of Japan ma attraverso acquisto di attivi finanziari, probabilmente azioni e mutui, oppure azzerando la remunerazione delle riserve detenute dalle banche commerciali presso di essa, oggi pari allo 0,1%.

Una nuova versione del Monopoli, ambientata in Giappone, in pratica. A noi appare incredibile la leggerezza con cui gli eletti giapponesi stanno giocando con la propria moneta, viste le metriche di deficit e debito pubblico, vista la struttura demografica del paese, del tutto sfavorevole, e vista la presenza di un ormai persistente deficit delle partite correnti. A meno di riaccendere tutte le centrali nucleari del paese e a meno di tentare uno sfondamento dell’export attraverso una nuova pesante svalutazione dello yen, che questa volta difficilmente troverebbe la benevola acquiescenza del G-20.

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