Un paese pesantemente e minuziosamente normato, in cui molto spesso le norme vengono disapplicate o “scordate” tramite provvidenziali esegesi che servono ad accomodare conflitti tra gruppi, sin quando il sistema cede sotto il peso delle proprie contraddizioni. Se si è fortunati, a volte tali contraddizioni perdurano per molto tempo, anche oltre la naturale esaustione biologica dei loro architetti, nel frattempo assurti a culto e venerati come padri nobili della comunità. Ma la discontinuità è sempre in agguato, a ricordare l’inanità degli umani affanni. Ma a quel momento sarà sempre possibile invocare la sorte avversa, l’inganno, il Maligno che ha ottenebrato tante persone per bene, impedendo loro di comprendere la portata di alcune decisioni. A volte il revisionismo è talmente profondo che le statue degli architetti del successo vengono abbattute, in processi di piazza fatti di momenti di autocoscienza e perdurante rimozione. Ma la domanda sorge comunque spontanea: a che serve essere una comunità con un corpo di norme così pletorico e soggetto ad incessante torsione da reinterpretazione? Serve a produrre fallimenti più eclatanti, oltre che ad inverare il mito rivoluzionario della fantasia al potere.
[Leggi “Se c’erano, dormivano” (31 gennaio 2013) e “Se c’erano, dormivano – 2” (13 giugno 2013)]