Alcune notizie e fattoidi economici di e da fine estate, per chi si ostina a credere che ci sia vita al di fuori dell’agibilità politica. Su economia sommersa caratteristica non solo italiana, valenza pedagogica del Monopoli, imposta ecclesiastica svizzera.
? Pagare meno, non pagare tutti – Su Leoni Blog, Oscar Giannino demistifica l’ormai classico fraintendimento mediatico in materia di tasse, cioè la mancata specifica che gli importi “recuperati” sono tutto fuorché recuperati e, soprattutto, che sono relativi ad imponibile e non ad imposta evasa. Ma il post di Oscar è interessante soprattutto nella chiusa, che riportiamo integralmente:
«Bisogna far tara anche di un altro luogo comune diffusissimo: quello dell’Italia regina solitaria dell’evasione e dell’economia “in nero”, dannata conseguenza di una devianza antropica connaturata al nostro DNA nazionale, incapace di immedesimarsi nel bene pubblico, e intossicato di Machiavelli e Guicciardini. Qualche giorno fa è stata pubblicata una aggiornata stima comparata del “nero” in Europa, a cura del professor Friedrich Schneider per la grande società di consulenza A.T. Kearney. Ebbene la stima del nero italiano, pari al 21% del Pil, è in realtà di poco sopra la media europea, perché a batterci, con punte fino al 30% e oltre del Pil, sono i Paesi esteuropei. Ma i nostri 330 miliardi circa di economia “insensibile” al fisco vengono superati, come ammontare, dagli oltre 350 miliardi della virtuosissima Germania. Certo, la percentuale del nero sul Pil tedesco è più bassa della nostra. Ma come imposte evase ci battono, i signori tedeschi. Malgrado abbiano una pressione fiscale di diversi punti inferiore alla nostra, beati loro»
Ora, è vero che l’ipotetico sommerso tedesco inciderebbe meno sul Pil rispetto al nostro (nel 2011 stima dell’11%, contro il nostro 21%) ma, se le cose stanno in questi termini, parrebbe affievolirsi la nota tesi secondo cui a minore pressione fiscale corrisponderebbe minore evasione. Ciò è tanto più eclatante osservando il dato dei paesi dell’Est, come citato dalla ricerca di A.T.Kearney (sponsorizzata da Visa, che arriva a sostenere la tesi che i paesi dove la moneta elettronica è più diffusa sono quelli in cui l’evasione è minore), perché questi paesi hanno pressione fiscale molto contenuta, sistemi di welfare meno pachidermici di quelli europei occidentali ed in alcuni casi persino la flat tax. Attendiamo conferme, che non arriveranno. Nel frattempo, se volete divertirvi con le stime e avere qualcosa su cui dibattere prima di tornare in città ed al lavoro (avendone uno), potete guardarvi la pagina 15 del rapporto.
? Nomen omen – Siamo certi che è uno scherzo agostano di qualche buontempone bersaniano, ma oggi si parla della lettera che un gruppo di sette deputati di osservanza renziana avrebbe indirizzato a Barack Obama per il tramite dell’ambasciatore statunitense nel nostro paese, per criticare l’involuzione del caro, vecchio Monopoli (o Monopoly, in lingua originale), che nella sua ultima versione avrebbe eliminato la prigione e sostituito gli immobili con azioni. Da leggere il testo della missiva (qui un delizioso estratto), in particolare nel passaggio in cui si richiama l’attenzione di Obama sulla degenerazione del “gioco che da generazioni alfabetizza i giovani sui meccanismi del libero mercato”. Beh, se un gioco si chiama Monopoli, ed è basato sul costringere gli avversari ad accumulare debito sino al punto da andare in bancarotta, qualche sospetto sul suo potenziale educativo sarebbe forse dovuto sorgere in passato. A parte ciò, forse quello che non tutti sanno è che il Monopoli ha avuto un progenitore socialista (o comunitarista, per essere meno netti), in cui era possibile cooperare per creare una proprietà comune delle risorse terriere, secondo la filosofia collettivistica dello scrittore del Diciannovesimo secolo Henry George, che sosteneva che nessun individuo potesse rivendicare di avere la proprietà della terra. Attendiamo che in Italia venga lanciato un nuovo gioco da tavolo chiamato Cleptocrazia, basato sulla celeberrima “economia sociale di mercato”, qualunque cosa ciò significhi.
? Svizzera, chiese e competizione – Nella Confederazione viene prelevata una “imposta ecclesiastica” sul reddito delle persone fisiche registrate come appartenenti ad una Chiesa nazionale. Ma in 20 cantoni su 26 tale imposta viene prelevata anche a valere sulle persone giuridiche. Se la riscossione da persone fisiche ha senso, essendo legata all’espressione di volontà individuale (la registrazione ad una Chiesa), e pertanto reversibile, l’esazione dalle aziende lascia perplessi. Per questo il Partito radicale liberale ed i conservatori dell’Unione democratica di centro stanno spingendo per l’abolizione del prelievo sulle persone giuridiche, con la motivazione che ciò migliorerebbe la competitività delle imprese, riducendo la pressione fiscale, ed all’orizzonte già si stagliano alcuni referendum cantonali. Ma eliminare l’imposta ecclesiastica per le aziende finirebbe col compromettere la funzionalità sociale sussidiaria delle Chiese, oltre che lo stesso esercizio del culto, secondo i sostenitori dello status quo. Questo è un dibattito tutto da seguire, per noi piccoli sudditi dell’otto per mille a leva: ci insegna, tra l’altro, quanto è maturo il discorso pubblico in un paese dove la democrazia diretta e quella rappresentativa operano in sinergia da parecchi secoli sulla materia fondamentale della vita di comunità, il fisco, senza cliccare sui tasti di un computer e senza attendere la venuta dell’Uomo Nuovo che vende fumo come tutti quelli che lo hanno preceduto. Ma si sa, le applicazioni analogiche di modelli culturali altrui fanno tenerezza per la loro sprovvedutezza, quando non fanno prudere le mani per la loro malafede.