Le risorse scarse di Matteo Pangloss

Oggi sul Messaggero compare un’intervista pasquale a Matteo Renzi, in cui il premier fa il punto sullo stato di avanzamento dei lavori del cantiere italiano, promette ai cittadini contribuenti che non ci saranno nuove tasse nella Legge di Stabilità del prossimo anno (a pochi giorni dalla presentazione del DEF) e si esibisce in alcune interpretazioni di politica economica che sono l’inquietante conferma che il Nostro ha uno strano concetto dell’economia e dei numeri da essa prodotti. Oltre ad essere il nuovo campione nazionale di correlazioni spurie, ma questa non è esattamente una notizia.

Si comincia con quello che è ormai un consolidato topos narrativo renziano: i numeri non contano, soprattutto quando sono piccoli. Conta altro, ben altro:

«L’anno scorso tutti gli esperti internazionali avevano fatto previsioni ottimistiche e poi abbiamo visto come è andata a finire. Noi eravamo stati in media, ma quest’anno abbiamo deciso di essere più prudenti e anche se in tanti prevedono una crescita superiore all’1%, abbiamo scelto di volare basso e stare allo 0,7%. Ma non è la percentuale che conta, i numeri interessano agli addetti ai lavori: la verità è che c’è un clima nuovo in Italia. E basta fare il pieno o chiedere un mutuo per capire che molto è cambiato»

A dirla tutta, i numeri contano, ed in un modo fottutamente rilevante. Se non c’è crescita, o se la stessa è esangue, l’occupazione non cresce e la disoccupazione non si riassorbe. Quindi i numeri interessano non gli addetti ai lavori ma la vita dei cittadini. Ci arriverà mai, il buon Renzi? Oppure questa è la variazione sul tema della fiaba della volpe e dell’uva, quando la crescita latita o è comunque troppo bassa? A proposito, ma voi quando fate il pieno assumete un’aria estasiata-rilassata di tipo post coitale, da qualche tempo a questa parte? In quel caso, evitate almeno di accendervi una sigaretta, mi raccomando. C’è per caso un traduttore renziano o un mediatore culturale, in sala? Il prezzo del greggio è sceso e il clima psicologico del paese è cambiato? Chi dovremmo ringraziare, in caso?

Sui numeri dell’occupazione, inizialmente manipolati dal governo (che si era “dimenticato” le cessazioni, enfatizzando solo le attivazioni), Renzi è netto:

«I contratti stabili non sono dei numeri. Sono dei ragazzi che facevano i precari e si vedono trasformato il lavoro in un contratto a tutele crescenti: vanno in banca e ottengono un mutuo. Hanno le ferie. Per noi sono numeri, per loro è la vita, altro che storie. Poi ognuno legge le statistiche come crede. Personalmente mi fa tenerezza vedere come l’armata dei gufi si aggrappi esultante a qualche zero virgola negativo: il dato di fatto è che mai come in questo momento assumere conviene. Alla fine dell’ anno vedremo se i risultati sono quelli che speravamo o no»

Ecco, perfetto. Ma qui occorre chiarirsi: gli zero virgola negativi sono negativi. Punto. O forse Renzi pensa che basti qualche assunzione qui e là, in un contesto stagnante, per proclamare missione compiuta? Il punto è che questa risposta è un miscuglio di piani fattuali differenti. Siamo ovviamente felici che un giovane possa chiedere un mutuo (lo vedremo, comunque), e che smetta di sentirsi precario. Ma se l’economia non cresce, con quegli zero virgola negativi segnalati da “armate di gufi” che “fanno tenerezza” al premier, ecco che non avremo abbastanza assunti, né stabilizzati né ex novo. La funzione del Jobs Act è quella di ridurre le fattispecie di lavoro precario, non quella di creare una crescita netta di occupazione in presenza di “zero virgola” negativi. E’ il tentativo di Renzi di mischiare i termini della questione, prendendo il caso ideal-tipico ed asciugando la felice lacrimuccia mentre cerca di sviare gli sguardi altrui dalla insufficiente crescita, che è alla base di tutto, a fare tenerezza. O meglio a far girare le palle, e non poco. Perché delle due l’una: o ci sei o ci fai.

La stessa linea di pensiero si ritrova nella difesa renziana degli 80 euro:

Un’altra novità a cui il suo governo ha dato grande importanza sono gli 80 euro in più in busta paga per i redditi bassi. Secondo l’Istat però nel 2014 l’aumento dei consumi è stato pari a zero. Continua a difendere questa misura? Verrà confermata?
«Gli 80 euro al mese per chi sta sotto i 1.500 euro sono innanzitutto giustizia sociale. Lei ricorderà che abbiamo fatto questa manovra proprio mentre mettevamo il tetto ai supermanager pubblici. Perché di questo si trattava un piccolo gesto di restituzione. Poi se la maestra che prendeva 1.300 euro e adesso ne prende 1.380 o l’operaio che è passato da 1.120 a 1.200 euro, hanno deciso di mettere da parte quei soldi e non spenderli, perché così dormono più tranquilli la notte, io sono contento per loro. Non li critico perché quei soldi li meritano ed è giusto che ne facciano ciò che vogliono»

Anche qui, non ci siamo proprio. Renzi enfatizza l’aspetto morale-moralistico-risarcitorio degli 80 euro e si disinteressa del loro impatto concreto sulla crescita economica, che invece è l’unica cosa che ci serve. Peccato che l’economia sia la “scienza” delle risorse scarse, quella che tenta di rispondere alla domanda “volete burro o cannoni?”. E peccato che i politici italiani, invariabilmente, scordino questa legge dei tradeoff e dicano agli italiani che possono avere burro, cannoni e cannoli. Ribadiamo il concetto: i 10 miliardi annui di bonus 80 euro, che ogni anno vanno finanziati, potevano essere impiegati in modo più proficuo? L’impatto sull’economia del paese delle misure di copertura di questi dieci miliardi è superiore al beneficio che questa somma apporta alla crescita? La risposta è affermativa, ormai questo lo hanno capito anche i paracarri, tranne quelli di Firenze (uno, almeno).

E veniamo alle promesse, attendendo il DEF:

«L’Iva nel 2016 non aumenterà. Credo che annulleremo le clausole di salvaguardia già con le misure contenute nel Def. Ma non esiste nel modo più categorico che ci sia aumento delle tasse. Con tutto il rispetto, non ho letto nelle carte di Cottarelli idee geniali: sono le solite cose che ci diciamo da decenni. Non vanno scritte, vanno fatte. Ma per farle occorre intelligenza. La riduzione delle partecipate non si fa dalla sera alla mattina ma con leggi serie per i Comuni e strumenti industriali e finanziari che supportino chi vuole investire sul serio sulle public utilities. Se ci saranno ulteriori risorse la priorità sarà per le famiglie e per rendere stabili gli incentivi alle imprese per assumere»

Vero, sulla spending review non si inventa nulla. Al massimo, si getta un anno non facendo assolutamente nulla, mentre si invoca il “primato della politica” e si schiantano tagli lineari sul muso degli enti locali.

Questo è il pensiero economico al tempo di Matteo Renzi, l’uomo che scambiò una ripresa congiunturale spinta da eventi esterni irripetibili per rinascita economica indotta dalle sue ricette di policy. Quelle ricette che si disinteressano dei numeri di crescita (che non interessano alla ‘ggente, suvvia) ma poggiano su precetti rivoluzionari come l’aumento netto di occupazione anche in stagnazione. Se mai verrà istituito un insegnamento universitario di fallacia economica, si crei anche una cattedra in onore di Matteo Renzi, l’uomo che rivoluzionò la scienza economica e le tecniche di televendita.

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