Numeretti, numeroni, narrative e svarioni

Oggi sul Sole 24 Ore c’è un articolo di Isabella Bufacchi che confuta e rettifica altro articolo online del medesimo giornale, di qualche giorno addietro, in cui si indicava che la Germania avrebbe usato nientemeno che 500 miliardi di fondi pubblici per aiutare le proprie banche durante la Grande Recessione.

L’articolo di Bufacchi riprende in amplissima parte i numeri che vi abbiamo presentato qui, esattamente un mese addietro. Che sarà mai un mese, davanti all’eternità? Interessante osservare che l’articolo del Sole in cui si dava conto dei mirabolanti 500 miliardi è stato editato online ma senza riferimenti alla rettifica. Per rendersene contro basta comparare la versione ora online sul sito del Sole con quella originaria, che è stata “catturata” da un sito che replica il feed originale ma senza aggiornarlo, e che in tal modo ha creato una sorta di cache permanente.

Come direbbero gli anglosassoni, compare and contrast. Versione ora online del Sole:

«La Germania ha speso oltre 500 miliardi di soldi pubblici dal 2008 (di cui 238 miliardi sono aiuti ancora in essere e non restituiti anche se difatti 70 miliardi sono quelli al momento effettivamente sborsati) per rinforzare le proprie banche»

Versione originale dello stesso autore, del 21 gennaio:

«La Germania ha speso oltre 500 miliardi di soldi pubblici dal 2008 (di cui 238 miliardi sono aiuti ancora in essere e non restituiti) per rinforzare le proprie banche»

La versione aggiornata è più precisa, diciamo, anche se il verbo spendere presentato come “non sinonimo” di sborsare fa un certo effetto. Nella versione aggiornata del pezzo ora online è poi scomparso il seguente paragrafo:

«Si può anche polemizzare sul metodo di calcolo del debito pubblico in Germania, considerato che la Cassa depositi e prestiti tedesca, la Kfw Bankengruppe, nonostante sia posseduta all’80% dal Governo (come la nostra Cassa depositi e prestiti) e al 20% dagli Stati e svolga molti compiti normalmente appannaggio del settore pubblico, resta al di fuori del perimetro del bilancio federale.»

Ottimo, ma lo stesso è vero per la nostra Cassa Depositi e Prestiti. Dove sta la notizia ed il “doppiopesismo”, qui? Bene aver tolto dal pezzo questo riferimento tendenzioso. Ma il problema è altro. Il problema è che, quando si modifica un pezzo per correggere informazioni fattualmente errate, forse è opportuno spiegare ai lettori i perché di tali modifiche. I giornali anglosassoni lo fanno ma noi non vogliamo essere provinciali, evidentemente.

Con l’occasione, vi segnaliamo anche la cosiddetta “analisi” di Tino Oldani su ItaliaOggi del 22 gennaio, dal titolo “Renzi: mutui boom (+97%) – Bankitalia: no, solo +0,38%“, dove l’autore chiude in questo modo:

«Come si spiega il divario abissale tra il 97% di Renzi e il 0,38% della Banca d’Italia? Semplice. Il premier si è basato su una statistica bancaria omnicomprensiva, che di solito mette insieme i mutui per la casa, sia nuovi che rinegoziati, con il credito al consumo, vale a dire con i prestiti personali di importo modesto, usati di solito per l’acquisto dell’auto o dei mobili. Prestiti, questi ultimi, cresciuti del 52% se di durata inferiore ai 5 anni, e del 37% sopra i 5 anni. Un infortunio per eccesso di propaganda, che Renzi farebbe bene a non replicare»

Tutto condivisibile. Se non fosse che questo pezzo pare mettersi in scia di questo post ma perdendosi la precisazione finale, proveniente da ABI, sull’effetto ottico dell’aumento dei prestiti personali. Inviteremmo pertanto Oldani a seguire con più attenzione Phastidio, quando ne riprende i contenuti senza citarli esplicitamente (carino quel +0,38% sui mutui, Oldani. Bravo). Non è grave, i numeri di Bankitalia sono pubblici, anche se in pochi li spulciano, come il vostro umile titolare. E poi si può sempre dire che sembrava che Phastidio fosse un’agenzia di stampa, come fatto da altri tempo addietro (non male come suggerimento, comunque). Resta tuttavia il problema di fondo di sciatteria ed assenza di riscontro alle affermazioni fattuali, inclusa talvolta omessa citazione della fonte. In principio fu Gramellini.

Se il nostro giornalismo si riduce al trionfo delle opinioni sui fatti, all’incapacità di reperire ed analizzare i dati, alla funzione di “buca delle lettere” per i poteri più o meno forti o più propriamente morti (quelli italiani), non si rende un bel servizio ad una professione la cui missione è quella di fare le pulci al potere. Né si rende un bel servizio ai molti giornalisti che tale missione perseguono cocciutamente ogni giorno, spesso mettendo a rischio il proprio futuro professionale. Ah, quanto siamo romantici, vero?

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