Intervenendo oggi al Senato in fase di replica alle mozioni su quella che le agenzie di stampa definiscono orwellianamente “privatizzazione parziale” di Ferrovie dello Stato, e che non avverrà quest’anno, il vice ministro dell’Economia, Enrico Morando, è riuscito a sostenere una cosa ed il suo contrario. Grande è lo stato confusionale sotto il cielo del governo, quindi la situazione è quella solita: grave ma non seria. Ed il rapporto con la realtà resta sempre assai conflittuale.
Morando parte subito con una sorta di ammonimento ai parlamentari che fossero dubbiosi circa l’opportunità di classare schegge di proprietà pubbliche senza costrutto e senza che ciò risulti determinante ad incidere sul rapporto di indebitamento. Peccato aver “promesso” alla Ue di portare a casa proventi da dismissioni pubbliche per lo 0,5% del Pil entro il 31 dicembre, quindi circa otto miliardi, e che siamo ad aprile inoltrato. Morando, si diceva, si pone subito nella modalità “okay, panic” che il suo “capo” a via XX Settembre, Pier Carlo Padoan, tenta da sempre di esorcizzare: la sostenibilità del debito pubblico. Che per Padoan è ovviamente sostenibile senza se e senza ma anche nel lungo periodo, mentre per Morando non si direbbe. Al punto che oggi egli ha scolpito quanto segue:
«In un momento in cui se non c’è deflazione c’è inflazione zero il volume globale del debito così elevato significa a medio termine rischiare l’insostenibilità (…) Un contributo alla riduzione del debito dobbiamo ottenerlo anche dalle privatizzazioni»
Beh, forse si, se fossero privatizzazioni e non frammenti da pochi miliardi su uno stock di debito pubblico da oltre 2.300 miliardi, ma sono dettagli. E comunque,
«(…) se non facciamo la privatizzazione di Fs dobbiamo fare privatizzazioni per un volume analogo, di altri gruppi e altre proprietà dello Stato»
Pare nervoso, Morando: attenzione all’insostenibilità del debito pubblico, se non facciamo Fs troveremo altro, presto ché è tardi! Insomma, pochi, maledetti e subito. Forse accortosi di aver fatto scivolare il piede dalla frizione sulle esigenze di cassa, Morando precisa che queste “privatizzazioni” servono in realtà ad altro, ben altro, e vanno eseguite e perseguite in modo tale da
«(…) consentire alle società possedute dallo Stato di rafforzarsi patrimonialmente per migliorare»
Momento. Il rafforzamento patrimoniale avviene quando si ha apporto di nuovo capitale. Nel caso delle “privatizzazioni”, si tratterebbe di cessione di quote da parte dell’azionista Tesoro, e il denaro da esse riveniente sarebbe dirottato a riduzione dello stock di debito. Forse Morando pensa ad aumenti di capitale successivi, ma in quel caso il Tesoro dovrebbe metterci soldi. Quindi non è chiaro a cosa il vice ministro si riferisca. Ancor meno chiari sono alcuni successivi passaggi dell’intervento di Morando. Intanto, per Morando le “privatizzazioni” sono “occasione particolarmente significativa ed importante” per
«(…) favorire il fatto che finalmente una quota significativa dell’enorme volume del risparmio privato di famiglie e imprese, ma soprattutto famiglie, vada ad investirsi sul capitale di rischio delle imprese»
Certo, certo, obiettivo assolutamente compatibile con la tassazione al 26% delle “rendite finanziarie pure”, inasprita dal governo di cui Morando fa parte. Quella maggiore tassazione anche del risparmio previdenziale che il nostro gabelliere migliorista riteneva una minuzia, giusto? Segue questa criptica considerazione:
«Il debito delle imprese è eccessivamente concentrato nelle banche e questo pone un problema di competitività del sistema economico e produttivo»
Prego? Ma stavamo parlando di capitale proprio o di debito aziendale? Mistero. Come che sia, per Morando dobbiamo assolutamente vendere schegge di aziende pubbliche, dobbiamo farlo alla svelta perché se va storto qualcosa rischiamo “l’insostenibilità” del debito, ma sia chiaro che vendiamo per ricapitalizzare le aziende pubbliche (anche no, visto che si tratta di cessione di capitale posseduto dal Tesoro ed i cui proventi finiranno a ridurre il debito pubblico) e renderle più competitive ed efficienti e bisogna spingere queste c. di famiglie a mettere i soldi nel capitale di rischio delle aziende, ovviamente tassandolo più del doppio rispetto a titoli di stato e buoni postali. Per questi ultimi, l’aliquota fiscale ridotta è stato pure un fondamentale argomento pubblicitario, negli spot e nella comunicazione istituzionale, ricordate? Quando c’è la coerenza, c’è tutto.
E quindi, sia ben chiaro che, per dirla con Morando,
«Non è vero che [le privatizzazioni] le facciamo frettolosamente per prendere il poco che possiamo prendere per ridurre il volume globale debito o, come viene detto spregiativamente, fare cassa»
Ma no, certo che no. Non per cassa, ma per disperazione. Resta sempre il nostro amletico ed ozioso dubbio: ma questa gente ci fa o ci è? Sono davvero solo cinici ed animati da robusto disprezzo verso i cittadini contribuenti oppure sono proprio un distillato di purissima ignoranza? Ah, saperlo.