Ieri il presidente della associazione di consumatori Adusbef, Elio Lannutti, ha emesso una nota di dura critica nei confronti del veicolo Atlante, quello che dovrebbe puntellare le ricapitalizzazioni di alcune banche e rilevare i crediti in sofferenza del sistema. Premesso che le critiche ad Atlante sono anche nostre, Lannutti nella nota si lancia in affermazioni piuttosto impegnative e non propriamente circostanziate, e ci fornisce l’occasione per capirne di più sul proteiforme ed ubiquo concetto di sussidio, che infinito debito addusse agli italici.
Lannutti afferma che il gli azionisti di Atlante sono
«[…] un gruppo privato non proprio filantropico, la cui finalità è quella di assicurare e garantire il successo degli aumenti di capitale richiesti dall’Autorità di vigilanza a banche decotte, Popolare di Vicenza, Veneto Banca e lo stesso Banco Popolare, agendo da back stop facility»
L’espressione “banche decotte” riferito a Popolare di Vicenza, Veneto Banca e Banco Popolare appare, come detto, piuttosto spericolata, oltre che non circostanziata. Tra una condizione di insufficiente capitalizzazione ed una di decozione, che peraltro non si attaglia alla realtà delle banche, corre un oceano. E peraltro non ci pare che Lannutti suggerisca corsi d’azione alternativi. Lasciar fare al mercato “non proprio filantropico”, ad esempio con la proposta del fondo statunitense Apollo a Carige? A noi questo starebbe bene, e a Lannutti? Oppure il presidente di Adusbef suggerisce di “lasciar fallire” le banche deboli? Tutto si può fare e dire, ma serve prevedere corsi d’azione che gestiscano le conseguenze di date scelte.
Forse Lannutti pensa che la liquidazione coatta amministrativa di una banca sia un evento lieve e gestibile? Inclusa la perdita dei depositi sopra i centomila euro ed il rientro immediato degli affidamenti? Oppure Lannutti chiede la nazionalizzazione delle banche deboli? E con quali soldi? O ancora, l’ex dipietrista divenuto grillino pensa che bastino le azioni di responsabilità contro i vertici di banche dissestate per recuperare tutti i soldi necessari per tenere in piedi il baraccone e non infliggere colpi letali ai creditori delle banche, famiglie incluse?
A proposito di sussidi e regali, l’occasione di questa presa di posizione di Lannutti ci è gradita per verificare i conti della sua associazione, Adusbef. Da quello che siamo riusciti a reperire, e la fonte è la stessa associazione nei suoi documenti di bilancio, appare che la creatura di Lannutti è piuttosto piccina, con un rendiconto finanziario da circa 240 mila euro. Osservando qui, notiamo che, dal lato delle entrate, il preventivo 2015 presentava 130 mila euro dal “progetto Salvafamiglie”. Che sarà mai? Pare sia questo, un’iniziativa delle associazioni di utenti e consumatori per aiutare le famiglie ad aumentare la propria consapevolezza e far valere i propri diritti al tempo della crisi. Nientemeno.
Il particolare rilevante è che tale imprescindibile progetto è finanziato dal ministero per lo Sviluppo Economico (MISE). Interessante, non trovate? Un ministero concede in outsourcing un’attività che potrebbe essere svolta internamente, e sulla cui efficacia è lecito nutrire robusti dubbi. La comunicazione è tutto, signora mia: forse è per quello che il sito del “progetto” Salvafamiglie è stato abbandonato ed il nome di dominio acquisito da altri in attesa di rivenderlo? Vai a saperlo.
Troviamo anche altri “progetti” del genere, tra le voci di entrata di Adusbef, tra cui il “progetto contraffazione” ed il “progetto RcAuto”. Perbacco. Ma andiamo avanti. Tra le altre entrate del preventivo 2015, Adusbef segnala 30 mila euro di “contributi all’editoria”. Che dirà Grillo, alla cui predicazione Lannutti oggi si ispira, e che è radicalmente contrario ai sussidi all’editoria? Poi troviamo 12 mila euro per il “Progetto della Regione Lazio”, che dovrebbe essere il monitoraggio del sistema bancario regionale. Ma di che si tratterà, nello specifico? Vai a saperlo. Sono sempre soldi pubblici, comunque.
Tirando le somme, scopriamo che nel preventivo 2015 di Adusbef, ben il 70% deriva da contributi pubblici, tra ministeriali diretti, regionali e statali. Meno del 30% delle entrate deriva dalla attività associativa, diretta ed indiretta. Naturalmente Lannutti ha la spiegazione, per questa dipendenza assoluta della sua creatura dalla mammella pubblica, e la troviamo in calce al rendiconto finanziario:
«Come noto nella prassi Adusbef non viene accettata alcuna forma di finanziamento privato (eccezion fatta per Ie conciliazioni) seppur consentito da un regolamento ministeriale che mette in vendita le associazioni dei consumatori al miglior offerente»
Nobile e puro, ci mancherebbe. Ma si continua a non comprendere per quale motivo un ministero dovrebbe appaltare a privati attività di comunicazione e campagne di informazione che può tranquillamente svolgere al proprio interno e con risorse proprie. Il principio è identico a quello più volte denunciato dallo stesso Lannutti e relativo alla famigerata prassi delle consulenze esterne assegnate da ministeri e strutture pubbliche. Anzi, diremmo che nel caso dei “progetti” del Mise, le competenze specialistiche delle sedicenti associazioni dei consumatori sono ancor meno rintracciabili.
In sintesi: basta con le “banche decotte”, ammesso e non concesso di confermare che tali siano e non per assioma da chiacchiere da bar. Ma basta anche a soldi dei contribuenti erogati a privati cittadini per finalità che sono del tutto inesistenti. Questa sussidarietà all’italiana, cioè con le nostre tasse, deve finire. Perché di Masanielli con le tasse degli altri ne avemmo anche le tasche piene.